Trust “anti-mafia”. Uno strumento per la salvezza del patrimonio imprenditoriale

Saggio di commento pubblicato in Trust & Attività Fiduciarie, 2011, 109

Il mancato rilascio della certificazione anti-mafia a imprese che hanno rapporti contrattuali con la Pubblica Amministrazione può motivare l’istituzione di un trust “anti-mafia”. L’esigenza di salvare il patrimonio imprenditoriale si soddisfa recidendo qualsiasi vincolo tra il titolare dell’impresa e la struttura organizzativa dallo stesso creata, così spezzando ogni legame tra il soggetto sospettato di contiguità mafiose ed il patrimonio imprenditoriale. Disposizioni estreme possono caratterizzare la posizione del titolare dell’impresa, disponente del trust, che non può esercitare alcun tipo di influenza sul trust né avvantaggiarsi dei proventi derivanti dallo svolgimento dell’attività imprenditoriale affidata al trustee.

L’arresto improvviso che l’attività economica di una società di Reggio Calabria ha subito in conseguenza del mancato rilascio della certificazione antimafia nell’ambito della realizzazione di una infrastruttura pubblica ha generato, nei due titolari delle partecipazioni sociali, la necessità di trovare una soluzione che consentisse tanto una rapida ripresa dell’attività imprenditoriale quanto la tutela dei lavoratori dipendenti.

L’art. 10 del D.P.R. 3 giugno 1998, n. 252, recante norme per la semplificazione dei procedimenti relativi al rilascio delle comunicazioni e delle informazioni antimafia, impone alle pubbliche amministrazioni intenzionate a stipulare, approvare o autorizzare contratti per l’esecuzione di opere e lavori pubblici(1) o, comunque, per lo svolgimento di attività imprenditoriali, di acquisire informazioni relative alla possibilità che sussistano tentativi di infiltrazione mafiosa tendenti a condizionare le scelte e gli indirizzi delle società o imprese interes­sate(2).

La norma, qualificata costantemente dalla giuri­sprudenza come la forma massima di anticipazione dell’azione di prevenzione(3), in virtù della quale as­sumono rilievo fatti e vicende anche solo sintomati­ci ed indiziari non necessariamente connessi all’ac­certamento di responsabilità penali, prevede, inoltre, una forma di tutela successiva. Il regolamento attribuisce, infatti, all’ammini­strazione la facoltà di revocare le autorizzazioni e le concessioni o di recedere dai contratti in esecuzione con lo scopo di interdire, nel rispetto dei principi costituzionali di imparzialità e buon andamento dell’amministrazione, qualsiasi rapporto contrattuale tra la pubblica amministrazione e le imprese sospet­tate di subire tentativi di infiltrazione mafiosa ove questi siano accertati oltre i termini previsti per il rilascio delle informazioni o, comunque, successivamente alla conclusione del contratto od alla concessione(4). Quando si tratta di società di capitali, come nel caso che stiamo commentando, tanto la documentazione anti-mafia quanto i relativi accertamenti sono posti in essere dall’autorità prefettizia, oltre che nei confronti dei soci, anche nei confronti del legale rappresentante e degli eventuali altri componenti dell’organo di amministrazione.

Note:
(1)I contratti per cui il I comma dell’art. 10 del D.P.R. 3 giugno 1998, n. 252 prevede l’obbligo di acquisire informazioni relative ad eventuali tentativi di infiltrazione mafiosa sono quelli il cui valore sia: a) pari o superiore a quello determinato dalla legge in attuazione delle direttive comu¬nitarie in materia di opere e lavori pubblici, servizi pubblici e pubbliche forniture, indipendentemente dai casi di esclusione ivi indicati; b) superiore a 300 milioni di lire per le concessioni di acque pubbliche o di be¬ni demaniali per lo svolgimento di attività imprenditoriali, ovvero per la concessione di contributi, finanziamenti e agevolazioni su mutuo o altre erogazioni dello stesso tipo per lo svolgimento di attività imprenditoria¬li; c) superiore a 300 milioni di lire per l’autorizzazione di subcontratti, cessione o cottimi, concernenti la realizzazione di opere o lavori pubblici o la prestazione di servizi o forniture pubbliche.
(2)L’art. 10 del D.P.R. 3 giugno 1998, n. 252 per la definizione dei ten¬tativi di infiltrazione mafiosa rinvia al comma IV dell’art. 1 del D.Lgs. 8 agosto 1994, n. 490 – Disposizioni attuative della legge 17 gennaio 1994, n. 47 in materia di comunicazioni e certificazioni previste dalla normati¬va antimafia nonché disposizioni concernenti i poteri del prefetto in materia di contrasto alla criminalità organizzata.
(3)In tal senso si veda Consiglio di Stato, Sez. VI, 17 maggio 2006, n. 2867, Giur. boll. legislaz. tecnica, 2006, 421; Consiglio di Stato, Sez. VI, 17 maggio 2006, n. 2849, inedita. (4)Così i commi II e III dell’art. 11 del D.P.R. 3 giugno 1998, n. 252.

L’attuazione del protocollo di legalità nei confronti della società di Reggio Calabria è derivato della partecipazione di questa alla realizzazione di una infrastruttura ed un insediamento strategico sul territorio capitolino legato alla Provincia di Roma. La Prefettura di Roma chiedeva al soggetto che si era aggiudicato l’esecuzione dei lavori di progettazione e realizzazione di trasmettere le certificazioni anti-mafia relative alle società partecipanti al compimento dell’opera. Per ottemperare a tale obbligo la società aggiudicatrice dei lavori chiedeva alla Prefettura di Reggio Calabria il rilascio della liberatoria anti-mafia nei confronti della società calabrese cui aveva affidato, nella realizzazione dell’infrastruttura, lavori di trasporto di materiali di risulta. Conseguentemente iniziavano i relativi accertamenti da parte delle forze dell’ordine. Deve necessariamente essere considerato che il Prefetto, tanto nell’ambito delle indagini quanto nelle successive valutazioni conclusive, ha un ampio margine di accertamento e di apprezzamento(5). La valutazione prefettizia, che si conclude con il rilascio o meno della liberatoria, può avere a fondamento, come nel caso in esame, anche fatti e vicende solo sintomatici ed indiziari poiché la normativa, nello scopo di combattere il fenomeno mafioso nel tessuto economico ed imprenditoriale quando contratta con la sfera pubblica, dà rilevanza sotto il profilo probatorio ad eventi non necessariamente realizzati, ma addirittura soltanto ipotizzabili come possibili, occupandosi, infatti, anche di legami, condizionamenti e coinvolgimenti (anche non diretti nell’organizzazione aziendale) relativi a fenomeni familiari che, in settori meno sensibili, sarebbero di scarso rilievo. La libera iniziativa di impresa, pur se costituzionalmente garantita, può essere limitata in presenza di soli elementi indiziari circa la sussistenza di tentativi di infiltrazione mafiosa. Gli accertamenti delle forze dell’ordine, oltre ad esser stati condotti nei confronti dei titolari delle partecipazioni sociali, sono stati effettuati anche nei confronti del fratello convivente di uno dei due soci, il quale in passato, ma non al tempo dell’esecuzione del contratto con la pubblica amministrazione, aveva ricoperto la carica di procuratore speciale. Dalla ricognizione effettuata risultava che tanto i soci quanto l’ex-procuratore erano soliti frequentare soggetti appartenenti alla locale cosca mafiosa. Inoltre, anche altri stretti familiari dei soci, non coinvolti nell’attività economica della società, erano stati ritenuti contigui alla cosca mafiosa. La Prefettura di Reggio Calabria, nella valutazione complessiva degli elementi acquisiti relativi alla società calabrese, ha ritenuto quindi “sussistente il pericolo di tentativo di infiltrazione mafiosa”(6) e ha, pertanto, emanato un provvedimento di carattere interdittivo. In sede di ricorso amministrativo presentato dalla società calabrese avverso il provvedimento prefettizio è emerso, poi, che gli elementi a fondamento della mancata concessione della certificazione anti-mafia erano l’esser stati trovati i soci più volte in compagnia di soggetti che le forze di polizia ritengono contigui alla locale cosca mafiosa, l’esistenza a carico di altri familiari di vari precedenti penali ed il fidanzamento di uno dei soci con la figlia di colui che è ritenuto fondatore della cosca mafiosa. Elementi questi che sono stati considerati sintomatici della sussistenza del pericolo di infiltrazione mafiosa nell’ambito societario. La società aggiudicatrice dell’esecuzione dell’infrastruttura, in conseguenza del mancato rilascio della liberatoria anti-mafia, ha risolto immediatamente ogni rapporto contrattuale con la società calabrese.

Note:
(5)La giurisprudenza ritiene che l’informazione prefettizia sia emessa a seguito di un giudizio valutativo di tipo prognostico: in tal senso Consiglio di Stato, Sez. IV, 7 giugno 2005, n. 2891, inedita. Inoltre, i Giudici amministrativi hanno ritenuto che la formulazione “tentativi di infiltra¬zione mafiosa” rilevante allo scopo di interdire la partecipazione dell’im¬presa ai pubblici appalti sia una formulazione più sociologica che giuridica. Così Consiglio di Stato, Sez. VI, 16 aprile 2003, n. 1979, Giur. boll. legislaz. tecnica, 2003, 423. (6)Così il provvedimento della Prefetto nella nota informativa ex art. 10 D.P.R. 3 giugno 1998, n. 252.

Il trust, il cui fondo risulta essere composto dalla partecipazione sociale(7), è stato istituito con lo scopo di ovviare all’inconveniente in cui si sono trovati i titolari dell’impresa e nasce, pertanto, dall’esigenza di recidere qualsiasi vincolo tra le loro persone e la struttura organizzativa dagli stessi creata(8). La conseguente attribuzione della proprietà delle partecipazioni al trustee, unitamente all’indipendenza ed autonomia attribuitagli nella gestione economica dell’impresa, come vedremo più avanti, evidenzierà la separazione del patrimonio incluso nel fondo in trust non solo rispetto ai titolari delle quote sociali ma, più in generale, alla loro famiglia. Esigenza che doveva necessariamente essere soddisfatta, soprattutto perché la disciplina anti-mafia focalizza l’attenzione più sui rapporti e sulle influenze di fatto che non sugli aspetti formali della titolarità dell’impresa. Per il raggiungimento di questo scopo e per la redazione dell’atto istitutivo si è preso spunto tanto dalla proposta di Legge n. 1318 presentata il 7 luglio 2006 per la modifica della Legge 20 luglio 2004, n. 215, recante norme in materia di risoluzione dei conflitti di interessi, quanto dagli emendamenti alla proposta presentati della Commissione Affari Costituzionali(9). Questo perché, ed è evidente soprattutto nel testo come emendato dalla Commissione, il legislatore, prevedendo come obbligatorio per i titolari delle cariche di governo l’istituzione di un trust “cieco”, con lo scopo di prevenire il conflitto di interessi di cui questi potrebbero essere portatori, individuava nel trust lo strumento adatto a spezzare il legame tra il soggetto nella posizione di conflitto ed il suo patrimonio. Le proposte normative per il raggiungimento dello scopo perseguito dal legislatore dettavano anche il contenuto minimo, ma necessario dell’atto con cui si andava a creare il patrimonio separato. La proposta di legge tratta di un gestore del patrimonio, mentre gli emendamenti presentati dalla I Commissione trattano del trustee. Con particolare attenzione sono state considerate quelle disposizioni che evidenziavano la necessaria professionalità ed indipendenza del gestore/trustee rispetto al disponente(10); che attribuivano al gestore/trustee la più ampia discrezionalità in merito alla consistenza qualitativa dei beni in trust, nonché il potere di trasformazione, gestione, disposizione ed amministrazione dei beni conferiti nel perseguimento dell’interesse del patrimonio trasferito(11); che obbligavano il gestore/trustee ad assicurare e mantenere la massima riservatezza circa la composizione del fondo in trust, vietando espressamente qualsiasi comunicazione al titolare di carica di governo, anche per interposta persona, della natura e dell’entità degli investimenti e disinvestimenti(12).

Note:
(7)Si veda l’art. 5 dell’atto istitutivo, pubblicato infra, 102. (8)Supra, nota 7. (9)Per la proposta di legge e la relazione si vedano gli Atti Parlamentari della Camera dei Deputati – XV Legislatura – Disegni di Legge e Relazioni. La proposta di Legge n. 1318 è stata presentata alla Camera dei Deputati il 7 luglio 2006, mentre la Relazione della I Commissione Perma¬nente (Affari Costituzionali, della Presidenza del Consiglio e Interni) n. 1318-A, è stata presentata alla Presidenza l’11 maggio 2007. (10)In tal senso l’art. 8, I comma, della proposta di Legge n. 1318 e l’art. 15, V comma, della proposta di Legge n. 1318-A. (11)Così l’art. 8, III comma, della proposta di Legge n. 1318 e gli artt. 14, I comma, e 15, V comma, lett. b), della proposta di Legge n. 1318-A. (12)Così l’art. 7, III comma, e l’art. 8, III comma, della proposta di Legge n. 1318 e l’art. 15, VII comma, lett. a) e b), della proposta di Legge n. 1318-A.

Nel caso che stiamo esponendo vincoli familiari ed interessi economici si intrecciano tra loro. La famiglia interessata all’istituzione del trust è composta da tre fratelli e dai rispettivi figli. Al momento in cui sorgere la problematica presentata, dei tre fratelli, definiti convenzionalmente all’art. 6 dell’atto istitutivo come i “Capostipiti”(13), solamente due sono viventi. Ogni Capostipite ha avuto tre figli che sono tutti in vita, non coniugati e senza figli. I titolari delle partecipazioni sociali sono uno tra i figli del Capostipite deceduto ed uno tra i figli di uno dei Capostipiti viventi. La carica di procuratore speciale era, invece, ricoperta da un altro dei tre figli del Capostipite deceduto. Gli altri componenti della famiglia, al momento dell’istituzione del trust, non sono, invece, coinvolti attivamente nell’esercizio dell’impresa. Il trust è stato impostato con lo scopo di garantire l’estraneità degli attuali titolari delle partecipazioni sociali all’attività dell’impresa e, contemporaneamente, assicurare la più ampia trasparenza della gestione, salvaguardare l’avviamento della società ed i posti di lavoro dei dipendenti. Fondamentale, per perseguire al meglio l’intento dei soci/disponenti, è stata la scelta della legge regolatrice, del trustee e del guardiano. Come legge regolatrice si è scelto il diritto inglese. La scelta è stata dettata dalla circostanza che la legge regolatrice di qualsiasi altro paese off-shore avrebbe potuto generare sospetti e fatto dubitare della bontà dell’intento che i disponenti perseguivano con l’istituzione del trust. Riflessioni in tal senso hanno accompagnato l’individuazione del trustee e del guardiano: era necessario che gli uffici fossero ricoperti da persone indipendenti, con una reputazione inattaccabile e, soprattutto, privi di legame con i titolari delle partecipazioni sociali e la loro famiglia. Esigenza che necessariamente doveva essere soddisfatta per evitare che, nonostante il passaggio della proprietà dai soci al trustee, tenuto conto anche dell’ampiezza che caratterizza le indagini prefettizie, potessero in futuro essere rilevati nell’ambito societario tentativi di infiltrazione mafiosa. Proprio per questo motivo la scelta è ricaduta su professionisti indipendenti (due avvocati ed un dot-tore commercialista). Coerentemente, anche le regole per la gestione dell’attività imprenditoriale da parte del trustee sono state predisposte per sottolinearne la sua totale auto-nomia, indipendenza e discrezionalità, intendendo i soci/disponenti prevenire che qualsiasi circostanza legata alle loro persone potesse in futuro ripercuoter¬si nuovamente sull’attività economica. Così, nell’ottica di realizzare e mantenere nel tempo una gestione trasparente dell’azienda, si è previsto che il trustee, quale socio della società, eserciti i proprî diritti alla luce della finalità del trust evitando, nel contempo, che intervenga qualsiasi comunicazione con i soci/disponenti sulle attività che il trustee dovrebbe o non dovrebbe compiere.

Art. 18. Posizione del Trustee rispetto al Fondo
A. (Omissis) B. (Omissis) C. Il Trustee esercita ogni potere con discrezionalità assoluta secondo le circostanze. D. In particolare, il Trustee esercita come ritiene i proprî diritti quale socio della Società alla luce delle finalità del Trust. E. I Disponenti non sono legittimati a impartire alcuna istruzione o indicazione vincolante al Trustee.

La predetta autonomia è però limitata nell’ipotesi di alienazione della partecipazione sociale: questa è stata, infatti, subordinata all’ottenimento da parte del trustee del consenso del guardiano(14). Non solo. Anche nel disciplinare come può essere impiegato il reddito del fondo in trust si è deciso di restringere fortemente la discrezionalità del trustee: questo può, infatti, impiegare il reddito se ed in quanto lo ritenga a vantaggio dei beneficiarî che non siano però i figli dei Capostipiti e, quindi, gli attuali soci(15). Conseguentemente, anche nello scrivere le dispo-sizioni regolanti il mutamento nell’ufficio di trustee, oltre alle classiche previsioni regolanti le varie vicende che possono toccare la sua esistenza, si è previsto che questo possa essere revocato esclusivamente dal guardiano: nel corso della durata del trust, i soci/disponenti non potranno mai revocare il trustee. Con questa disposizione si è voluto evidenziare l’intento di mantenere nel tempo una gestione indipendente e priva di qualsiasi legame tra i soci attuali e la loro famiglia. Sempre con questa intenzione, al guardiano è stato anche attribuito il potere di nominare trustee in sostituzione od in aggiunta a quelli esistenti fino ad un massimo di tre(16). L’ufficio di guardiano è stato poi strutturato in una modalità che lo fa essere sempre collegiale: si è previsto che, ove vi siano meno di due persone nell’ufficio, ed il guardiano cui compete non abbia nominato il successore di quello venuto meno, alla nomina provveda il Presidente del consiglio Notarile di Milano su richiesta del trustee o di qualsiasi interessato(17).

Note:
(13) Si veda l’art. 6 dell’atto istitutivo [supra, nota 7]. (14) Art. 20, lett. C, dell’atto istitutivo [supra, nota 7]. (15) Art. 22 dell’atto istitutivo [supra, nota 7]. (16) Art. 30 dell’atto istitutivo [supra, nota 7]. (17) Art. 36 dell’atto istitutivo [supra, nota 7].

La costante necessità di fare risaltare la stabilità del negozio e la cessazione di qualsiasi legame tra la società, gli attuali soci e la loro famiglia più in generale, ha portato a prevedere l’irrevocabilità dell’atto istitutivo(18). Un atto istitutivo revocabile, con il conseguente venir meno degli effetti del trust ed il consequenziale ritorno dei beni al disponente, non avrebbe soddisfatto le esigenze preventive dei soci/disponenti, ma anzi avrebbe potuto essere interpretato dalle autorità come uno strumento posto in essere per eludere temporaneamente la normativa anti-mafia. Sempre con il fine di poter consentire alla società di continuare a mantenere i rapporti imprenditoriali con la pubblica amministrazione, si è previsto, nell’articolo dedicato a disciplinare la durata del trust, che il termine finale sia in primo luogo la data nella quale il trustee dichiari che il fondo in trust include solamente disponibilità liquide. Questa situazione si verifica con la vendita della partecipazione sociale. Non avrebbe senso mantenere un trust creato per lo svolgimento di una attività economica se la partecipazione non è più nella disponibilità del trustee. Ove poi una tale dichiarazione dovesse mancare, come termine finale, sempre con lo scopo di evidenziare la genuinità e la stabilità dell’atto, si sono previsti quaranta anni dalla data di sottoscrizione dell’atto istitutivo ed in alternativa la data anteriore che il guardiano dovesse dichiarare per mezzo di atto con sottoscrizione autenticata comunicata al trustee.

Art. 7. La “Durata del Trust”; appartenenza del fondo in trust
A. Per “Durata del Trust” si intende il periodo 1.il cui termine iniziale è la data di questo Strumento 2.e il cui termine finale a.è la data nella quale il Trustee dichiari che il fondo in trust include soltanto disponibilità liquide; b.in mancanza di tale dichiarazione, è comunque i.la data nella quale si compiono quaranta anni dal termine iniziale ii.ovvero la anteriore data dichiarata dal Guardiano per mezzo di atto con sottoscrizione autenticata comunicato al Trustee, purché successiva alla data di tale atto.

Tanto il termine dei quarant’anni, quanto l’eventuale dichiarazione del guardiano devono esser lette tenendo a mente la causa che ha portato all’istituzione del trust, nonché la volontà dei disponenti che il trust sia a vantaggio dei discendenti dei Capostipiti. Presumibilmente tra quarant’anni o al momento in cui il guardiano dovesse esercitare, coerentemente con il movente sottostante all’istituzione del trust, il potere attribuitogli, tanto gli attuali soci quanto gli altri figli dei Capostipiti saranno anziani ed avranno avuto dei figli, con la conseguenza che al termine finale, come vedremo analizzando le disposizioni sull’appartenenza finale del fondo in trust, i beni ivi ricompresi saranno attribuiti ai nipoti dei Capostipiti.

Note:
(18) Art. 2, lett. C, dell’atto istitutivo [supra, nota 7].

La volontà di destinare la partecipazione o il ricavato dalla sua alienazione al termine del rapporto ai discendenti dei soci/disponenti ed ad altri membri della famiglia è evidente nella clausola che individua i beneficiari e nella disposizione che regola l’appartenenza del fondo in trust una volta sopraggiunto il termine finale. I discendenti dei Capostipiti sono i beneficiari. L’apertura della categoria è generata dalla volontà degli attuali soci di attribuire vantaggi economici a quei discendenti dei Capostipiti che siano operosamente coinvolti nello svolgimento dell’attività imprenditoriale. La permanenza nella categoria dei beneficiari è, così, stata condizionata alla partecipazione attiva nell’impresa: infatti il guardiano, ove dovesse riscontrare che alcuni dei discendenti dei Capostipiti non forniscono alcun sostegno rilevante all’attività imprenditoriale, può escluderli dalla categoria stessa.

Art. 6. I “Capostipiti”; i “Beneficiarî”
A. (Omissis) B. Il termine “Beneficiarî” indica i rispettivi discendenti dei Capostipiti, eccettuati coloro che il Guardiano, per mezzo di atto con sottoscrizione autenticata, revocabile o irrevocabile e comunicato al Trustee, dichiari di escludere perché non forniscono sostegno rilevante alla attività della Società.

Nello stabilire le regole per l’appartenenza del fondo in trust una volta sopraggiunto il termine finale, si è pensato di dividere il fondo in “Quote-base”, attribuite al ramo di discendenza di ciascun Capostipite ove vi siano beneficiari. Per ciascuna Quota-base si è, poi, prevista una ulteriore divisione in “Quote-discendenti”: tante “Quote-discendenti” quanti sono i figli del capostipite che siano beneficiari in vita. Se questi non hanno discendenti che sono beneficiari verrà loro attribuita una Quota-discendenti; mentre se sono in vita ed hanno a loro volta discendenti viventi che sono beneficiari, ovvero se i figli dei Capostipiti sono defunti lasciando beneficiari viventi, si è prevista la ripartizione della relativa Quota-discendente. La divisione della Quota-discendente è stata studiata per attribuire ai membri di ciascun grado quanto avrebbe ricevuto il loro genitore se vivente e, contemporaneamente, bloccare il passaggio di quote lungo il ramo di discendenza quando un ascendente riceve. Così agli attuali soci, le cui frequentazioni hanno fatto ritenere sussistente il pericolo di infiltrazioni mafiose, verrà attribuita una “Quota-discendenti” esclusivamente ove non abbiano discendenti viventi che non sono beneficiari.

Art. 7. La “Durata del Trust”; appartenenza del fondo in trust
A. (Omissis) B. Sopraggiunto il termine finale della Durata del Trust, 1. il fondo in trust è suddiviso in tante quote (“Quote-base”) quanti sono i rami di discendenza dei Capostipiti che includono Beneficiari e ciascuna quota-base è ulteriormente divisa in tante quote (“Quote-discendenti”) quanti sono a. i figli del Capostipite che sono Beneficiari, sono in vita e non hanno discendenti che sono Beneficiaiî: ad essi spetta una quota-discendente; b. e i figli del Capostipite che sono Beneficiari, sono in vita e hanno discendenti che sono Beneficiari ovvero che sono defunti lasciando discendenti che sono Beneficiari e sono in vita; la relativa Quota-discendente è ripartita in modo che i. ai membri di ciascun grado spetti quanto avrebbe ricevuto il loro genitore se vivente, ii. e nessun discendente riceva alcunché qualora a un suo ascendente spetti una quota o una sotto-quota; 2. (Omissis)

Sempre per evitare future difficoltà operative all’impresa sono state fortemente limitate le modificazioni che il trustee può apportare all’atto istitutivo. Il relativo potere di modifica, esercitabile dopo aver ottenuto il consenso del guardiano, non può in alcun modo essere utilizzato per produrre l’effetto di far tornare ai disponenti la partecipazione nella società o alcun altro bene incluso nel fondo in trust.

Art. 37. Modificazioni di questo Strumento
A. Il Trustee, ottenuto il consenso del Guardiano, può modificare questo Strumento come egli ritenga sia nell’interesse generale del Trust, ma non può apportare alcuna modificazione che produca l’effetto di fare tornare ai Disponenti la partecipazione nella Società o alcun altro bene in trust.

Queste disposizioni estreme hanno l’effetto di recidere definitivamente qualsiasi legame tra l’attività imprenditoriale portata avanti dal trustee e le perso¬ne dei soci/disponenti che così, oltre a non poter indirizzare le scelte e gli indirizzi gestionali della società, non si avvantaggeranno neanche dei proventi che potranno derivare dall’attività imprenditoriale che gli stessi hanno creato ed avviato negli anni.

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