ll trust antimafia salva l’impresa legata alla Pa
Saggio in tema di trust antimafia edito in Guida al Diritto Dossier – L’Istituto del Trust Venti Anni Dopo – Il Sole 24 Ore
L’applicazione della normativa “anti-maiia” – caratterizzata da un giudizio valutativo di tipo prognostico, dove hanno rilevanza fatti e vicende anche solo sintomatici e indiziari della sussistenza di infiltrazioni mafiose nell’attività imprenditoriale, svincolata dall’accertamento di responsabilità penali – può generare le contrazione dell’attività imprenditoriale per quelle iinprese che operano con pubbliche amministrazioni. La crisi dell’impresa, derivante dalla revoca o dalla negazione della certificazione “anti-mafia”, ha portato alcuni imprenditori, impossibilitati alla prosecuzione delle proprie attività economiche, a utilizzare il trust per salvare l’impresa e i livelli occupazionali. Lo scenario territoriale e ambientale in cui il trust andrà a operare è principalmente quello degli appalti pubblici; scenario in cui è preponderante il ruolo delle istituzioni che, per bonificare il mercato, esercitano un costante e rigoroso controllo verso le attività esposte al rischio mafioso.
È fondamentale per il successo dell’istituto porre l’accento sull’estraneità dell’imprenditore/disponente rispetto alla sua Impresa, vale a dire rispetto al fondo in trust. Così, nel disciplinare la gestione dei fondo in trust, diventano indispensabili disposizioni che vietano al disponente di interferire sulla vita e sulla gestione del trust nonché sulla possibilità di impartire istruzioni al trustee per la gestione dell’impresa. Il disponente può essere inoltre escluso dall’attribuzione di redditi derivanti dall’attività imprenditoriale; nelle ipotesi più rigorose, potranno essere inserite previsioni che abbiano l’effetto di evitare che i beni tornino al disponente (irrevocabilità dell’atto) e che gli impedistano di beneficiare del prezzo ricavato dalla eventuale vendita dell’impresa. Di norma i beneficiari del trust saranno i discendenti del disponente. Per evitare che il trust possa essere visto come uno strumento elusivo della normativa “anti-mafia”, sarà necessario prevederne una durata sufficientemente lunga (per esempio, quaranta anni) o comunque condizionata all’esistenza dell’impresa.
L’ampiezza delle indagini prefettizie deve essere considerata nella scelta del soggetto che dovrà ricoprire l’ufficio di trustee: egli non deve essere un sottoposto dell’imprenditore. Deve essere preferibilmente un prfessionista indipendente, con una reputazione inattaccabile e assolutamente estraneo alle vicende personali e imprenditoriali del disponente e della sua famiglia. Quindi un trustee indipendente e autonomo che eserciterà i poteri di gestione esclusivamente a favore dei beneficiari del trust, unici soggetti cui è tenuto a rispondere e dai quali si può veder contestare scelte pregiudizievoli per i loro interessi. Queste sono scelte di garanzia che evidenziano la rescissione del legame tra il disponente e la sua impresa. Opportuna, ma non sempre necessaria, può anche essere la presenza del guardiano al quale possono essere attribuiti compiti di controllo e di indirizzo, o comunque poteri che evidenzino ancor più l’indipendenza della gestione aziendale.
Il sospetto con il quale sono guardati i trust “anti-mafia” rende la scelta della legge regolatrice quasi obbligata per il corretto funzionamento dell’operazione: la legge inglese è quella maggiormente utilizzata, poiché oltre a essere facilmente conoscibile per gli operatori italiani non gode della cattiva reputazione di cui spesso sono impropilamente tacciate le leggi legate ai paesi “black list”, e non genera sospetti della bontà dell’intento che muove l’imprenditore mediante l’istituzione del trust. L’auto-esproprio operato dall’imprenditore mediante l’istituzione di un trust “anti-mafia” è il prezzo che egli è costretto a pagare per il superamento della crisi dell’impresa colpita dalla revoca o dal mancato rilascio della certificazione “anti-mafie”.