Accesso dei beneficiari alla documentazione del trust in un caso inusualmente complesso

Saggio di commento pubblicato in Trust & Attività Fiduciarie, 2019, 267

Una pronuncia in tema di diritto di informazione dei beneficiari che consente ai Giudici della Royal Court di Jersey un excursus delle decisioni più importanti sul tema e che si conclude con una decisione innovativa e di ampia portata in cui, attraverso la disamina di ciò che è o meno incluso nella categoria dei “trust documents”, viene imposto ai trustee la creazione di una “data room” nel quale collocare qualsiasi documento che sia direttamente o indirettamente riferibile al trust e che sia nel loro legittimo possesso, affinché possano essere ispezionati dai beneficiari.

La Royal Court di Jersey con la sentenza M v W Limited and Ors del 16 ottobre 2017 è stata chiamata a pronunciarsi in tema di diritto di informazione dei beneficiari[1]. La fattispecie giudiziaria che qui si commenta prende origine da una declaration of trust[2] del 1990 effettuata da una trust company di Guernsey. Inizialmente regolato dalla legge di Guernsey, questa è poi mutata in quella di Jersey. Il trust è discrezionale ed al trustee è data la facoltà di aggiungere beneficiari. Il trust prevede la figura del guardiano. Il fondo in trust, di considerevole valore, è costituito dalla partecipazione di una holding di diritto lussemburghese. La Corte è adita da uno dei beneficiari che vuole ottenere dal trustee la consegna di copia dell’atto istitutivo del trust, originario e atti integrativi, dei più recenti rendiconti e bilanci delle società detenute dal trustee. Il beneficiario/attore chiede anche i dettagli di tutte le distribuzioni che nel tempo il trustee ha effettuato e che gli siano fornite le identità sia degli amministratori delle società controllate dal trustee che di ogni persona che nelle medesime società ha il potere di rappresentanza delle stesse. L’azione è proposta tanto contro il trustee quanto contro gli altri beneficiari.

Note:
[1]La sentenza è pubblicata in questa Rivista, 2019, pag. 204.
[2]Per declaration of trust si intende il negozio istitutivo del trust autodichiarato. Nella prassi del modello internazionale si ricorre al trust autodichiarato anche quando non si vuole palesare il nome del disponente. Così il soggetto che altrimenti sarebbe il disponente trasferisce, solitamente, una modesta somma al futuro trustee (normalmente trustee professionale) il quale, affermando che la somma gli appartiene se ne dichiara trustee, ponendo anche in essere il relativo atto istitutivo. Si veda sul punto M. Lupoi, Istituzioni del diritto dei trust negli ordinamenti di origine e in Italia, CEDAM, 2016, pag. 36.

La decisione, rilasciata il 16 ottobre 2017, è presa con riferimento alla norma al tempo contenuta nella Jersey Trusts Law 1984. L’art. 29 della Legge espressamente prevedeva che “un trustee non può essere obbligato ad esibire a un soggetto un documento che – (a)  riveli le deliberazioni del trustee relative alle modalità con cui esso ha esercitato un potere o una facoltà discrezionale ovvero eseguito un dovere ad esso assegnati o imposto; (b)  riveli le motivazioni dello specifico esercizio di tale potere o facoltà discrezionale ovvero dell’esecuzione di tale obbligo ovvero i dati sui quali tali motivazioni sono o possono essere fondate; (c)  sia relativo all’esercizio o alla volontà di esercitare tale potere o facoltà discrezionale ovvero all’esecuzione o alla volontà di eseguire tale dovere; o (d)  sia relativo o faccia parte della contabilità del trust a meno che, in un caso in cui si applichi il sottocomma (d), quel soggetto sia un beneficiario di un trust non benefico (‘non-charitable’) o un’organizzazione benefica la quale è indicata per nome nell’atto istitutivo come beneficiaria del trust o l’attuatore (‘enforcer’) in relazione a uno scopo non benefico (‘non-charitable’) del trust”[3]. Tutto ciò salvo quanto previsto dall’atto istitutivo e salvo quanto disposto da un provvedimento della Corte sul punto. Vale la pena rilevare che il legislatore di Jersey è recentemente intervenuto per la settima volta sul testo normativo, trasferendo nelle disposizioni legislative le esigenze manifestatesi nel corso delle controversie giudiziali e nelle relative decisioni[4]. Ciò ha portato ad una riscrittura dell’art. 29 della Legge che attualmente consente che l’atto istitutivo – comma 1 – attribuisca a specifici soggetti diritti di informazione e che – comma 2 – il beneficiario possa richiedere di vedere i documenti che riguardano la contabilità del trust, diritti questi – comma 3 – la cui attuazione può essere negata dal trustee qualora egli ritenga sia nell’interesse di uno o più beneficiari. Il comma 4 consente che, per mezzo di una regola dispositiva, non vi sia l’obbligo a carico del trustee di motivare l’esercizio dei propri poteri e delle proprie decisioni. Il quinto ed ultimo comma della nuova norma ha al suo interno, invece, l’unica disposizione imperativa che, nonostante le previsioni dell’atto di trust, consente al trustee, al guardiano, al beneficiario ed a qualsiasi altra persona se il giudice lo consente, di ricorrere all’autorità giudiziaria per ottenere l’emanazione di un ordine che determini quali siano le informazioni che una persona ha il diritto di ottenere in relazione ad una specifica materia, o in via generale. La nuova flessibilità della norma contenuta nell’art. 29, riflesso di quella normalmente assicurata negli ordinamenti di origine dalla giurisprudenza, potrebbe generare incertezza, perché qualsiasi soggetto che non sia a proprio agio rispetto alle risposte che ottiene dal trustee è indotto a rivolgersi al giudice. Per altro, il trustee non essendo realmente vincolato ad alcuna obbligazione di comunicazione, ha dalla sua parte la certezza di poter promuovere o di comparire in procedimenti instaurati a spese del fondo in trust senza “doversi mettere le mani in tasca”[5]. Ma questo è un altro tema.

Note:
[3] Traduzione dell’Associazione “Il trust in Italia”, Le leggi straniere sui trust, I, a cura di A. Semproni, 2017.
[4] Il 23 maggio 2018 è stato dato l’assenso reale all’Amendment n. 7 ed esso è stato registrato dalla Royal Court il 1° giugno 2018.
[5] In tal senso si veda M. Lupoi, “Ancora modificata la legge di Jersey”, in questa Rivista, 2018, pag. 462. Secondo l’Autorevole dottrina il cambiamento è frutto delle valutazioni conseguenti alla decisone del Privy Council in Schmidt v Rosewood Ltd [2003] UKPC 256 ed in questa Rivista, 2003, pag. 586.

È interessante la panoramica giurisprudenziale che si ritrova nella decisione che ha, invece, un esito pratico innovativo. La posizione classica del diritto inglese sul punto del diritto di informazione dei beneficiari è ancorata alla nozione di trust documents. Questa posizione è espressa nella sentenza O’Rourke v Darbishire, sentenza della Camera dei Lord con cui Lord Wrenbury, ritenendo il beneficiario sia proprietario in equity dei beni inclusi nel fondo in trust ed includendo nel fondo i documenti del trust, ha ritenuto che il beneficiario abbia diritto di prenderne visione in quanto di sua appartenenza. Questo principio si basa sul presupposto che il beneficiario abbia una posizione quesita (vested), ovvero un diritto definitivamente acquisito in relazione al fondo in trust, anche parziale e, conseguentemente, sulla relativa documentazione[6]. Principio non applicabile ai beneficiari di differenti categorie[7]. Questo principio è stato affiancato nel tempo da ulteriori limitazioni riflesse sulla posizione dei beneficiari, in virtù delle quali si è voluto preservare il procedimento di formazione delle volontà dei trustee rispetto l’esercizio o meno dei loro poteri fiduciari, e la conoscenza di certi documenti, tutelando la segretezza delle decisioni assunte dal trustee nell’esercizio del suo ufficio. In Re Londonderry’s Settlement[8] la Corte, piuttosto che analizzare la portata del diritto di informazione dei beneficiari, ha enunciato il principio secondo il quale il trustee non è tenuto a spiegare i motivi dell’esercizio della sua discrezionalità e, quindi, non è tenuto a divulgare ai beneficiari i documenti dai quali risultino le motivazioni alla base della decisione adottata, in quanto si tratta di documenti che, per loro natura, devono restare riservati e non rientrano tra i c.d. trust documents[9]. Con questa storica pronuncia il giudice, pur non dando una definizione precisa di trusts documents, ne enuncia le caratteristiche comuni: essere documenti che i trustee detengono nella loro qualità, contenere informazioni che i beneficiari hanno diritto di conoscere, essere oggetto di un diritto proprietario dei beneficiari. Pertanto, i trustee non sono tenuti a mostrare ai beneficiari le agende dei loro incontri, né alcun documento (incluse le minute) relativo alle deliberazioni prese, o che si siano scambiati prima o durante la decisione, né alcun documento dal quale emergano le motivazioni della scelta anche qualora siano titolari di un potere discrezionale di anticipare il capitale ai beneficiari. È stata la successiva opera della dottrina e della giurisprudenza ad identificare quali documenti fossero trusts documents individuando: l’atto di trust e i documenti ad esso connessi – quali ad esempio la nomina del trustee – i documenti relativi alla contabilità del trust, gli eventuali pareri legali resi su specifiche questioni attinenti il trust e la sua gestione. Questa individuazione sembra, quindi, essere riferita ai documenti che il trustee ha in virtù dell’ufficio che ricopre e che sono una prova degli eventi del trust e della sua gestione; quindi documenti che, in caso di successione nell’ufficio, dovrebbero essere trasferiti da un trustee all’altro, affinché il subentrante possa avere una visione completa del trust. Non rientravano in questa individuazione le informazioni di cui il trustee dispone in virtù della sua qualità di azionista o di amministratore di una società che era inclusa nel fondo in trust, benché nel primo caso si è ritenuto che i beneficiari potessero richiedere che tali informazioni venissero rivelate[10]. Una attenuazione della posizione classica è stata autorevolmente espressa in Rouse v IOOF Australia Trusteees Limited[11]. La controversia coinvolgeva il trustee di un trust connesso ad uno schema di investimento collettivo in cui gli investitori erano i beneficiarî. La Corte Suprema dell’Australia del Sud ha negato l’accesso ai trust documents bilanciando da un lato l’obbligo per il trustee di rendere conto ai beneficiari, e dall’altro quello fondamentale di amministrare il trust nell’interesse di tutti i beneficiari. La richiesta di ispezione non si fondava su una pretesa violazione degli obblighi imposti al trustee dall’atto istitutivo di trust e l’obbligazione del trustee di agire nell’interesse di tutti i beneficiari, quale categoria complessiva, è stata ritenuta elemento sufficiente a legittimare la compressione del diritto di informazione dei beneficiari agenti. È noto ai lettori di questa Rivista che la pronuncia è stata utilizzata anche dal Tribunale di Napoli per non dare seguito alle richieste di informazioni avanzate dai beneficiari di un trust familiare[12]. Espressamente il nostro giudice ha ritenuto che “i trustee non hanno infatti un obbligo incondizionato di esibire i documenti del trust, ma hanno la facoltà di esercitare una certa discrezionalità nel decidere se accogliere o meno una richiesta in tal senso dei beneficiari, potendo essi validamente opporre il carattere confidenziale dei documenti o l’incompatibilità tra tale esibizione e l’interesse dei beneficiari considerati nel loro insieme”. L’analisi dei giudici della Royal Court prosegue con la citazione del precedente Re Rabaiotti 1989 Settlement[13]. In questa sentenza, che quasi si avvicina ad un saggio dottrinale sul punto qui analizzato, i giudici ritengono che il beneficiario sia titolare di un diritto limitato ad ispezionare i documenti del trust, consistendo la limitazione nel potere del trustee di negargli l’ispezione quando ciò è nell’interesse del complesso dei beneficiari. Ma i giudicanti fanno un passo oltre e si pronunciano anche sul punto delle lettere di desiderio. Richiamando il precedente Hartigan Nominees Pty Ltd v Rydge[14], i giudici hanno ritenuto che generalmente i trustee non possono essere costretti a rendere pubbliche le lettere di desiderio, chesono documenti confidenziali per natura e che riguardano l’esercizio dei poteri discrezionali che l’atto istitutivo attribuisce al trustee, ritenendole escluse dalla categoria dei trust documents. Tuttavia, la Corte nel caso di specie, con una interpretazione estensiva della Legge, si avvale della facoltà secondo cui il trustee deve comunque esibire tali documenti se lo dispone un provvedimento della Corte e ne ordina, quindi, l’esibizione[15]. La posizione classica si è radicalmente evoluta con una decisione del Privy Council dell’Isola di Man: Schmidt v Rosewood Trust Ltd[16]. Il frutto di questa evoluzione è stato quello di ritenere che qualsiasi beneficiario possa avere accesso alle informazioni riguardanti il trust qualora il giudice, nell’esercizio dei poteri che gli spettano in materia di trust (inherent jurisdiction), ritenga che ciò sia appropriato[17]. Sarà quindi il giudice a decidere se consentire o meno la divulgazione dei documenti del trust nell’ambito della sua discrezionalità, senza doversi muovere all’interno di categorie predeterminate di documenti divulgabili o meno. Il diritto di chiedere l’intervento del giudice non dipende più da una posizione beneficiaria quesita (vested), poiché anche il beneficiario con una posizione instabile o destinatario dell’esercizio di un qualsiasi potere discrezionale che il trustee potrebbe non esercitare mai, può essere legittimato ad avere accesso ai documenti del trust, anche se questa legittimazione dipende dalla discrezionalità della Corte, che effettuerà un balancing exercise tra gli interessi potenzialmente in conflitto di diverse classi di beneficiari, dello stesso trustee e del trust in generale[18].

Note:
[6] In tal senso E. Berti Riboli, Diritto all’informazione dei beneficiari, (supra, nota 5).
[7] Rouse v IOOF Australia Trusteees Limited [1999] SASC 181 ed in questa Rivista, 2001, pag. 111.
[8] Trib. Napoli, 13 marzo 2012, in questa Rivista, 2012, pag. 502, con mia nota, “Diritto di informazione dei beneficiari e ruolo del giudice”, sempre in questa iivista, 2012, pag. 621.
[9] In the matter of Re Rabaiotti 1989 Settlement and other settlement, in questa Rivista, 2002, pag. 62. Si tratta del caso di un beneficiario di quattro trust istituiti da suo padre, che si vede richiedere la produzione di una serie di documenti, dai quali risulterà la misura dei diritti che gli competono. La richiesta è formulata dalla moglie nel contesto di una causa di divorzio in Inghilterra, ed è accolta dai giudici inglesi. I trustee però sono di Jersey e La sentenza è analizzata anche da E. Berti Riboli, Diritto all’informazione dei beneficiari, (supra, nota 5); B. Franceschini, Il punto della giurisprudenza inglese, (supra, nota 8), pag. 405; J. Crivellaro, “Lettere di desiderio: come gli sviluppo avuti in Australia e Nuova Zelanda incidono sull’analisi del diritto dei trust”, in questa Rivista, 2012, pag. 41.
[10] Hartigan Nominees Pty Ltd v Rydge (1992) NSWLR 405.
[11] La Royal Court ha ordinato la divulgazione delle lettere di desiderio in quanto il disponente era defunto, e quindi impossibilitato a modificare o revocare le suddette lettere, e la divulgazione avrebbe generato nella Corte inglese un effetto positivo per i beneficiari, dato che in caso contrario quest’ultima avrebbe potuto giudicare su erronee basi, tenendo in considerazione informazioni differenti da quelle contenute nelle lettere.
[12] Schmidt v Rosewood Trust Ltd (2002-03), in questa Rivista, 2003, pag. 586.
[13] Per la definizione di inherent jurisdiction si veda M. Lupoi, Istituzioni, (supra, nota 1), pag. 126; M.A. Lupoi, “Primi temi del diritto processuale dei trust”, in questa Rivista, 2014, pag. 245; Id., “Profili processuali del trust”, in questa Rivista, 2009, pag. 16; G. Fanticini, “Relazione generale sullo sviluppo della giurisprudenza civile italiana (prima parte)”, in questa Rivista, 2015, pag. 455. Per il punto della giurisprudenza italiana su questo tema si veda il mio scritto: Il ruolo del giudice italiano nella vita del trust, in questa Rivista, 2018, pag. 267.
[14] In tal senso si veda M. Lupoi, Istituzioni, (supra, nota 1), pag. 149; D. Hayton, “Trustees’ duties to provide information and the significance of letters of wishes”, in questa Rivista, 2008, pag. 353; B. Franceschini, Il punto della giurisprudenza inglese, supra, nota 8, pag. 406; P. Panico, Un caso intricato, (supra, nota 5); J. Crivellaro, Lettere di desiderio, (supra, nota 12), pag. 43.
[15] Il principio è enunciato in O’Rourke v Derbishire, [1920] AC 581, pagg.626-627: “The beneficiary is entitled to see all the trust documents because they are trust documents and because he is a beneficiary. They are in this sense his own. […]. The right to discovery is a right to see someone else’s documents. A proprietary right is a right to access to documents which are your own”. In tal senso si veda P. Panico, “Un caso intricato sui diritti di informazione del beneficiario”, in questa Rivista, 2017, pag. 146, secondo il quale una conseguenza di questa visione proprietaria del diritto di informazione è che “in linea di principio nessuna informazione dovrebbe essere mantenuta riservata nei confronti di un beneficiario con una posizione quesita”. Si veda anche E. Berti Riboli, “Diritto all’informazione dei beneficiari”, in questa Rivista, 2004, pag. 197.
[16] Si veda M. Lupoi, Istituzioni, (supra, nota 1), pag. 149.
[17] Re Londonderry’s Settlement [1965] Ch 918, in questa Rivista, 2006, pag. 443.
[18] In questa controversia la richiesta della beneficiaria delusa era basata sul principio proprietario che un beneficiario di un trust ha diritto di vedere i documenti del trust in quanto ne è appunto proprietario. La Corte d’Appello diede ragione ai trustee superando il diritto dei beneficiari con la necessità di preservare la segretezza delle decisioni dei trustee stessi, a prescindere dal fatto che un documento particolare potesse essere qualificato o meno come documento del trust. Sul tema si veda B. Franceschini, “Il punto della giurisprudenza inglese sul dovere del trustee di rivelare informazioni confidenziali ai beneficiarî”, in questa Rivista, 2009, pag. 402.

Come si è detto in principio, in questo caso il fondo in trust è costituito dalle partecipazioni di una holding lussemburghese. Per la Corte c’è una differenza tra i trust documents e i company documents. I documenti societari non diventano automaticamente documenti del trust per il solo fatto che essi sono nella disponibilità del trustee. L’attribuzione di un documento all’una o all’altra categoria dipende, da un lato dalla formalità e dalla modalità con la quale gli stessi sono stati acquisiti dai trustee, e dall’atro se la sua divulgazione è necessaria per consentire alla Corte di esercitare il suo potere di supervisione sull’amministrazione del trust. E, quindi, la Corte esemplificativamente ritiene che l’avviso di convocazione dell’assemblea annuale dei soci che il trustee ha e riceve in quanto socio è qualificabile, in normali circostanze, come un documento del trust. Al contrario, la presentazione di un progetto agli amministratori della società, totalmente o parzialmente partecipata dal trust, è un documento che, in normali circostanze, sarà qualificato come documento societario, a meno che non sia presentato alla generalità dei soci. Ovviamente alcuni documenti possono appartenere ad entrambe le categorie. Per la Corte non esiste una regola generale che vieti al trustee di divulgare a un beneficiario un documento societario in suo possesso, ma il trustee prima di determinarsi in tal senso deve considerare gli interessi complessivi della società e quindi, se la divulgazione vada a vantaggio o meno degli interessi della stessa. Questo deriva dall’obbligazione connaturata all’ufficio di trustee e, cioè, quella di preservare ed incrementare il fondo in trust, fra i quali vi è appunto la partecipazione societaria. Basandosi ed allineandosi al precedente Butt v Kelsen[19], i giudici ritengono che sia differente la posizione che il trustee ha quale socio e quale amministratore, ed è da questa distinzione che fa derivare la differenza tra documenti del trust e documenti societari, asserendo anche la prevalenza dei principi del diritto societario e dell’obbligazione fiduciaria che hanno gli amministratori verso la società quando ci sono documenti che il trustee quale socio altrimenti non avrebbe a disposizione. Su questo punto vale rilevare come ci sia stata una pronuncia successiva di qualche mese al caso che qui si commenta, Lewis and others v Tamplin[20], in cui il giudice ha precisato che i beneficiari (di qualsiasi tipologia) necessitano delle informazioni inerenti il trust e la sua gestione anche per difendere le proprie posizioni beneficiarie eventualmente attraverso un’azione di responsabilità per inadempimento verso i trustee. Nell’individuare i documenti di cui disporre la produzione il giudice precisa che questi devono essere circoscritti a quelli inerenti il trust ed i beneficiari; non rientrano in questa categoria i documenti protetti dal segreto professionale qualora tale segreto sia posto a tutela dei trustee in una qualità diversa rispetto a quella dei trustee del “Tamplin Trust”. Così, ove i trustee abbiano richiesto un parere professionale per il loro personale vantaggio, ad esempio in merito ad una loro eventuale responsabilità per inadempimento sostenendo personalmente i relativi costi, il segreto apposto su detto parere è opponibile ai beneficiari. Non lo è, invece, qualora il parere sia stato chiesto nell’interesse del trust e ne abbiano sostenuto i costi tramite il fondo in trust con l’effetto che, anche se il parere è coperto da segreto professionale opponibile ai terzi, non può essere tenuto segreto ai beneficiari.

Note:
[19] Butt v Kelsen [1952] Ch 197.
[20] Lewis and others v Tamplin [2018], EWHC 777 (Ch), in questa Rivista, 2018, pag. 665.

E così i giudici ordinano al trustee di consegnare ad ogni beneficiario che lo richieda copia: (i)  dell’atto istitutivo del trust e degli atti di: assegnazione dei beni inclusi nel fondo in trust, di modifica dell’atto istitutivo, di aggiunta e revoca dei beneficiari; (ii) i verbali delle riunioni dei trustee, tranne nel caso in cui essi contengano le ragioni delle decisioni assunte dal trustee nell’esercizio dei suoi poteri discrezionali di assegnazione dei beni inclusi nel fondo in trust; (iii)i rendiconti del trust; (iv)      i bilanci della holding lussemburghese. Sul punto dell’atto istitutivo e degli atti ad esso connessi, La Corte, ritenendoli tutti inclusi nella categoria dei trust documents, non rileva alcuna ragione per la quale essi non debbano essere comunicati ai beneficiari. Anzi, detti documenti sono l’essenza della struttura in virtù della quale i beneficiari hanno l’aspettativa di trarre beneficio dal trust stesso e, proprio in virtù di ciò, consente tanto l’accesso quanto la possibilità di averne copia. La Corte ritiene che così i beneficiari avranno modo di avere cognizione delle distribuzioni che sono state effettuate, perlomeno quelle che sono state fatte dal fondo in trust[21]. Circa la holding lussemburghese, interamente detenuta dal trustee, i giudicanti hanno ritenuto che proprio in virtù della qualità di socio che ha il trustee, egli avrà a disposizione ogni anno il bilancio della società per la consueta approvazione. Come evidenziato precedentemente, il bilancio (e il relativo avviso di convocazione dell’assemblea per la sua approvazione) è una tipologia di documento che rientra tanto nella categoria dei documenti del trust che in quella dei documenti societari e, facendo prevalere la posizione del trustee quale socio e l’aspettativa conseguente rispetto alla disponibilità di questo documento, la Corte ne ha ordinato la messa a disposizione a favore dei beneficiari. Non vi fa rientrare i dati dei direttori, degli amministratori ed in generale dei rappresentanti delle società partecipate, ritenendo questi documenti societari. E veniamo all’ordine di istituzione della data room. La Corte impone al trustee di istituire un archivio a Jersey nel quale collocare qualsiasi documento che sia direttamente o indirettamente riferibile al trust e che sia nel legittimo possesso del trustee, affinché essi possano essere ispezionati dai beneficiari. È anche imposto che l’archivio contenga un organigramma delle società che sono detenute, totalmente o parzialmente, dal trust o attraverso società controllate. Sono esclusi dall’archivio, come rilevato, i documenti che esplicitano le ragioni dell’esercizio dei poteri discrezionali da parte del trustee e, in linea con Rabaiotti, anche le lettere di desiderio. Questa decisione è emessa dalla Corte anche per ristabilire l’armonia familiare tra i beneficiari e consentire a questi ultimi, ed invero anche alla Corte stessa, di supervisionare l’amministrazione del trust. E la mancanza di fiducia tra gli stessi beneficiari che i giudici riscontrano, e che valutano come potenzialmente dannosa, li porta a considerarw l’istituzione dell’archivio una scelta migliore rispetto alla loro intromissione nell’amministrazione del trust che, nel momento in cui la causa è pendente, non ritengono necessaria e solutoria[22]. È lasciata la possibilità al trustee di adire la Corte senza il necessario coinvolgimento dei beneficiari, qualora essi ritengano che l’inclusione di un determinato documento nella data room non sia rispondente all’interesse della categoria dei beneficiari nel suo complesso. Sarà la Corte stessa a decidere di volta in volta l’approccio procedurale anche considerando i singoli documenti oggetto di richiesta da parte del trustee. Inoltre, qualora il trustee sia gravato da un obbligo di riservatezza verso la persona o il soggetto giuridico che gli ha fornito il documento che esso intende includere nell’archivio per renderlo così disponibile ai beneficiari, il trustee dovrà preventivamente avvisare il soggetto del suo intento. Questo consentirà al diretto interessato di adire la Corte affinché il documento non sia incluso nella data room e non sia a disposizione dei beneficiari. Fatte queste premesse la Corte elenca le regole che devono essere rispettate per l’accesso alla data room. Ogni beneficiario può accedervi nel rispetto delle seguenti condizioni[23]:

  • possono essere presi appunti e note relativi ai documenti, ma non può esserne estratta copia;
  • i documenti e le informazioni contenute nell’archivio sono riservati e confidenziali, e i beneficiari non possono divulgarle a soggetti diversi dai loro consulenti o agli altri beneficiari, a meno che non abbiano il consenso di tutti i beneficiari o di un ordine della Corte;
  • l’accesso è consentito a condizione che il beneficiario si impegni tanto verso il trustee che verso gli atri beneficiari nonché verso la Corte a rispettare le condizioni imposte per l’accesso. Ogni violazione delle suddette regole sarà equiparata ad un inadempimento verso il trustee e gli altri beneficiari (will amount to a breach of contractual obligation to the trustee or to the other beneficiaries), e potrebbe anche integrare gli estremi dell’oltraggio alla Corte (may amount to a contempt of the Royal Court).

Note:
[21] Qualora le distribuzioni siano state effettuate dalle società partecipate dalla holding è probabile, a giudizio della Corte che le distribuzioni non siano rinvenibili.
[22] Addirittura gli stessi giudicanti ritengono che il dissenso presente nella famiglia non debba essere esacerbato e questo obiettivo potrebbe essere perseguita magari attraverso l’istituzione di un consiglio di famiglia in cui tutti i rami siano rappresentati; l’unità familiare può essere raggiunta con la maggiore trasparenza nelle operazioni del trustee e soprattutto con riferimento ai pagamenti ai beneficiari.
[23] I giudici specificano che l’accesso alla data room non è limitato ai beneficiari persone fisiche ma ad essa posso accedere anche i beneficiari persone giuridiche o i loro rappresentanti sempre nel rispetto delle condizioni dettate e con le medesime conseguenze in caso di violazione delle stesse.

Alla luce di questo excursus gli operatori si chiederanno che ruolo abbiano le clausole sulla riservatezza che sono spesso inserite negli atti istitutivi dei trust interni. La riservatezza è stata nella tradizione vista come la tutela della volontà del disponente affidata alla realizzazione del trustee. Ed è per questo motivo che, anche negli atti istitutivi di trust, ritroviamo le clausole sulla riservatezza che la miglior scuola ha tipizzato con un incipit che evidenzia un generale obbligo di riservatezza temperato in alcune ipotesi predeterminate[24]. Sul fronte legislativo va rilevato che alcune leggi del modello internazionale, invece, pongono obblighi di informazione a carico del trustee e delimitano le categorie di beneficiari che hanno diritto di ottenere informazioni[25]. È anche vero però, alla luce dell’evoluzione giurisprudenziale, che qualsiasi disposizione dell’atto istitutivo in materia di riservatezza verso i beneficiari rischia di essere disapplicata dal giudice che oramai, ci è stato mostrato, rivendica a sé il potere di decidere per ogni singolo caso che cosa il trustee debba rendere o meno noto e in che modalità. Sarà la giurisprudenza a mostrarci come questo precedente (ma soprattutto la nuova normativa) si ripercuoterà sull’attività dei trustee, professionali e non, i quali terranno sicuramente a mente nell’esercizio dei loro poteri che gli atti, benché inerenti lo svolgimento dell’ufficio, possono essere oggetto di disclosure nei confronti dei beneficiari.  

Note:
[24] Si veda M. Lupoi, Atti istitutivi di trust, Giuffrè, 2017, pag. 77 ss., che propone che la formula sulla riservatezza inizi con il seguente tenore: “il Trustee non comunica ad alcuno né documenti né informazioni relative al Trust a meno che 1. Lo consenta o lo prescriva questo Strumento; 2. oppure lo ordini il giudice; 3. Oppure il Trustee lo ritenga necessario per a) esercitare alcun potere, b) o adempiere una obbligazione, c) o difendersi in un procedimento giudiziario, d) o richiedere un parere professionale”.
[25] Uniform Trust Code, section 813; San Marino, Legge 1° marzo 2010, n. 42, si veda l’art. 27, comma 2, che obbliga il trustee a fornire a qualsiasi beneficiario con diritti determinati “a) notizia sull’esistenza del trust, del nominativo e del domicilio del trustee, e delle disposizioni dell’atto istitutivo che prevedono tale diritto; b) notizia di tutti gli atti o i fatti che modificano o estinguono tale diritto; c) su richiesta di un tale beneficiario, entro congruo termine, un inventario limitato ai beni in trust rispetto a cui il beneficiario vanta il diritto e la stima del loro valore di mercato commisurata al diritto vantato dal beneficiario “. E l’art. 49, che al comma 1 fa comunque salve le diverse disposizioni dell’atto istitutivo prevedendo che “ciascun beneficiario con diritti determinati ha diritto di prendere visione degli atti e documenti riguardanti i propri diritti e farne copia”.

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