Lesione di legittima e trust statunitense

Saggio di commento pubblicato in Trust & Attività Fiduciarie, 2018, 9

Il Tribunale di Lucca è chiamato a giudicare in tema di trust testamentario e tutela dei diritti dei legittimari lesi da questa disposizione di ultima volontà posta in essere negli Stati Uniti d’America. Passando dall’accertamento della sussistenza della giurisdizione italiana e dalla determinazione della legge applicabile alla successione, il Tribunale accoglie la domanda di riduzione delle eredi e, conseguentemente, riduce le disposizioni del testamento e del trust disponendo la reintegrazione delle legittimarie pretermesse nelle quote di loro spettanza.

Il Tribunale di Lucca a distanza di quasi venti anni torna ad occuparsi del tema della lesione di legittima e trust (1). La controversia riguarda la successione di un signore nato in Italia e deceduto negli Stati Uniti d’America all’età di 90 anni. Il de cuius nell’agosto del 2002 aveva istituito negli Stati Uniti un trust in cui aveva fatto confluire tutti i suoi beni mobili ed immobili presenti nel territorio americano, nominando se stesso e la moglie americana trustee del trust. Con testamento del 10 marzo 2010 l’anziano signore aveva poi disposto, come si legge nella sentenza, che tutto il suo restante patrimonio confluisse nel trust “per essere amministrato come parte del trust”. Il restante patrimonio era costituito dai beni relitti presenti sia in Italia che negli Stati Uniti. Il testamento fu fatto pubblicare dalla moglie presso il Consolato italiano di Miami a pochi giorni dalla morte del marito avvenuta il 21 maggio 2011. L’azione giudiziale è stata introdotta da una delle due figlie del de cuius ritenendosi essa pretermessa poiché il padre aveva previsto che il trust le attribuisse unicamente la somma di 1.000 dollari (2). Così l’attrice, previa la ricostruzione della massa ereditaria, chiedeva che “venisse calcolata ‘la quota di cui il de cuius poteva disporre’ e venisse disposta ‘la riduzione delle disposizioni testamentarie e delle disposizioni del trust’ assegnando a ciascun erede la sua quota di riserva, salvo conguaglio”. La domanda è proposta contro la moglie del de cuius, la sorella ed una – si legge nelle conclusioni di questa convenuta – “legataria” destinataria, secondo le disposizioni contenute nel trust, dellasommadi 15.000 dollari. La moglie convenuta, nel chiedere il rigetto della domanda dell’attrice, contestava di essere stata istituita unica erede del de cuius poiché quest’ultimo aveva devoluto i beni al trust di cui essa era solamente “l’amministratrice” (leggasi “il trustee”). Nessuna contestazione sorge tra le parti in merito alla validità della scheda testamentaria ed al suo contenuto, che pertanto si da per pacifico. Prima di entrare nel tema che interessa il lettore di questa Rivista, va detto che il Tribunale delinea l’oggetto del processo ed affronta delle preliminari questioni procedurali attinenti a: 1) le domande riconvenzionali introdotte dalle convenute volte a far condannare la moglie tanto all’adempimento delle disposizioni del testatore relative alla sua tumulazione per l’esecuzione della quale aveva destinato 150.000 dollari (3), quanto a rendere il conto di quanto essa aveva percepito a titolo di canoni di locazione di beni immobili (4); 2) alla mutatio libelli tentata dall’attrice per introdurre, con la memoria ex art. 183, comma 6, n. 1, la domanda di scioglimento della comunione ereditaria non presente nell’atto introduttivo del giudizio di cui ci si occupa. Così il Tribunale, prima di procedere all’esame nel merito della controversia, ci tiene a specificare quale sia l’oggetto della sua indagine, forse anche per non deludere le aspettative delle parti che, come detto, a giudizio inoltrato hanno tentato, nel perseguimento di una economia processuale forse sfuggita ai difensori nella fase introduttiva, di avere una utilità pratica ulteriore dal giudizio instaurato e cioè ottenere lo scioglimento della comunione ereditaria. I giudicanti, invece, puntualizzano che sono oggetto di giudizio “solo ed esclusivamente” le domande di impugnazione del testamento e del trust, nonché la riduzione delle relative disposizioni lesive della quota riservata ai legittimari, con espressa richiesta di accertamento della massa ereditaria e di assegnazione a ciascun erede della quota di riserva. Continuano spiegando che la domanda di scioglimento della comunione ereditaria non è stata introdotta da nessuna delle parti e che essa non può ritenersi implicitamente proposta con la domanda di assegnazione a ciascun erede della quota di riserva, in quanto l’azione di riduzione e, conseguente, l’attribuzione della quota riservata per legge al legittimario, è domanda “diversa ed autonoma” rispetto a quella di scioglimento della comunione ereditaria. Evidenziano poi che proprio le eredi legittimarie non hanno chiesto nulla, o comunque non hanno argomentato in funzione di un possibile progetto divisionale, e che la determinazione delle quote di spettanza di ciascuno degli eredi legittimi consiste nelle operazioni di formazione della massa dei beni relitti, nella detrazione dei debiti e nella riunione fittizia delle donazioni che, evidentemente, non hanno niente a che vedere con lo scioglimento della comunione (5). Delineato l’oggetto del processo il Tribunale risolve una questione introdotta dalla moglie convenuta ed inerente la sospensione del processo; tra le parti in causa era stata, infatti, proposta analoga domanda presso la Corte d’Appello distrettuale dello Stato della Florida. La convenuta, però, non prova sufficientemente la coincidenza dell’oggetto tra i due processi, tant’è che il Tribunale ritiene le pronunce emesse dalla Corte americana tamquan non esset. Esse non solo non fanno stato nel giudizio di cui ci si occupa, ma non sono ritenute nemmeno preclusive dell’accertamento della lesione di legittima ad opera del testamento, visto che dalle stesse non è stato possibile evincere quale fosse in concreto l’oggetto del processo d’oltreoceano: nelle relative traduzioni in italiano risulta, infatti, una indicazione generica, tra l’altro concernente la “revoca dell’omologazione del testamento”, istituto – come rilevato dai giudici nella motivazione – del tutto sconosciuto al nostro ordinamento (6).

Note:
(1) Trib. Lucca, 19 aprile 2017, in questa Rivista, 2017 pag. 645. Il precedente sul medesimo tema è del 23 settembre 1997, in Foro it., 1998, pagg. 2007 e 3391, rispettivamente con note di E. Brunetti e di M. Lupoi. La sentenza è la prima decisione emessa dopo la ratifica della Convenzione dell’Aja sulla legge applicabile ai trusts e sul loro riconoscimento. (2) Ugualmente anche all’altra figlia era destinata la somma di 1.000 dollari. (3) Le convenute sono state dichiarate decadute dalla possibilità di proporre la detta domanda riconvenzionale essendosi costituite in giudizio solo un giorno prima dell’udienza di comparizione non rispettando il dettato prescritto dall’art. 167 c.p.c. per i termini di costituzione quando si vuole proporre una domanda riconvenzionale. (4) La domanda nuova avente ad oggetto la condanna in via riconvenzionale della moglie al rendiconto di quanto percepito a titolo di canoni di locazione è stata introdotta dalle altre convenute in sede di precisazione delle conclusioni e come tale dichiarata d’ufficio inammissibile. (5) La determinazione delle quote di spettanza è disciplinata dall’art. 556 c.c. (6) Le norme successorie americane prevedono necessariamente che il patrimonio, in forza del positivo esperimento della procedura di omologazione del testamento (probate) passi prima ad un soggetto (nominato dal testatore o in mancanza dal giudice) e poi da questi ai successori. Il procedimento di omologazione è materia statale e come tale è disciplinato da ogni stato con specifiche leggi. In Florida tali disposizioni sono nel “Florida Probate Code”, title XLII, Chapter 731. Il probate è un procedimento che ha i seguenti molteplici scopi: 1) verificare la validità del testamento; 2) individuare i beni del de cuius, sia in quanto a loro valore sia in quanto a loro collocazione attuale; 3) designare il personal representative che può essere assimilato al nostro esecutore; 4) individuare (e soddisfare) eventuali creditori del de cuius; 5) adempiere alle obbligazioni tributarie; 6) distribuire il patrimonio rimanente tra gli eredi designati.

Dopo aver delineato l’oggetto dell’indagine, il Tribunale deve verificare la sussistenza della giurisdizione italiana in relazione alle domande di impugnazione del testamento e del trust, nonché rispetto a quella di riduzione delle disposizioni per lesione della quota riservata ai legittimari per poi, in caso affermativo, individuare la legge nazionale da applicare alla successione. Come detto l’anziano signore nasce cittadino italiano; acquista durante la sua permanenza negli Stati Uniti d’America la cittadinanza americana, ma riacquista la cittadinanza italiana nel 1994 e muore in Italia nel 2011. Decede lasciando beni tanto negli Stati Uniti quanto in Italia. Facile per i giudici la soluzione che, applicando le norme del diritto internazionale privato, affermano la giurisdizione italiana essendo il de cuius cittadino italiano al momento della morte e concernendo la domanda anche beni situati in Italia (7). Le suddette norme internazionali sono ugualmente utilizzate per determinare la normativa applicabile alla successione. Dal combinato disposto degli artt. 19, comma 2, e 46, comma 1 del d.i.p. discende l’applicazione al caso in esame della legge italiana. La prima norma, nel determinare il diritto applicabile, stabilisce la prevalenza della legge italiana qualora un soggetto abbia più cittadinanze e tra di esse vi sia quella italiana; la seconda prescrive che, in caso si successione per causa di morte, questa è regolata dalla legge nazionale del soggetto della cui eredità si tratta al momento della morte. Non ha spostato la decisione del Tribunale l’eccezione della moglie convenuta che ha provato a sostenere l’applicazione della legge americana alla successione del marito, anche in virtù della residenza americana di tutte le parti del giudizio. L’effetto era, ovviamente, quello di eludere le tutele che il nostro ordinamento ha verso i legittimari, poiché l’accento era posto sul comma 2 dell’art. 46 del d.i.p. che prevede la non compressione dei diritti dei legittimari solo ove questi siano residenti in Italia al momento della morte. Se non fosse che, anche in questo caso, la convenuta non ha correttamente provato la sua tesi non rinvenendosi nelle disposizioni testamentarie il presupposto applicativo della norma richiamata; e cioè che il testatore avesse “sottoposto con dichiarazione espressa” la sua successione allo stato in cui risiedeva e cioè allo stato della Florida, che non limita in alcun modo la libertà di chi effettua un testamento (8).

Note:
(7) Cfr. art. 50, lett. a) ed e), della Legge n. 218 del 31 maggio 1995. Per completezza va detto che in materia di successioni internazionali è stato adottato il Reg. UE 650 il 4 luglio 2012, applicabile a tutte le successioni aperte a partire dal 17 agosto 2015 incluso. Per una recente applicazione del Regolamento in un caso simile a quello qui analizzato si vedano le sentenze della Corte di cassazione francese del 27 settembre 2017, nn. 1004 (link) e 1005 (link). (8) In Florida il testatore ha piena libertà di testare, poiché non vi è la previsione di quote “di riserva”, ma c’è una assoluta libertà nello scegliere i propri successori, o a chi distribuire i propri beni e le proprie ricchezze. Delle quote e i relativi soggetti cui esse spettano sono però determinate qualora un soggetto muoia senza testamento: Florida Probate Code, Intestate succession and wills, Chapter 732.101-731.111.

Stabilito che alla successione dell’anziano signore si applica la legge italiana e con essa le disposizioni interne regolanti i diritti riservati ai legittimari, il Tribunale entra nel vivo della vicenda e “osserva” che nel nostro ordinamento il testamento può istituire un trust (9), purché esso non sia contrario alle norme dettate in tema di successione necessaria e non sia contrario alle norme imperative, all’ordine pubblico o al buon costume (10). Nell’elencare questi limiti, e nello stabilire la loro applicabilità al caso di specie, il Tribunale si rifà al suo precedente del 23 settembre 1997 (11). La controversia riguardava l’attribuzione dell’intero patrimonio relitto del testatore ad un trustee incaricato di provvedere discrezionalmente alle necessità della figlia del testatore, per tutta la durata della vita di questa e di corrispondere assegni ben determinati ai figli di lei fino a quando l’ultimo avesse raggiunto l’età di venticinque anni; a quel punto il trustee avrebbe potuto dividere fra i detti nipoti il patrimonio in parti uguali. Il testatore era cittadino italiano, la successione si era aperta in Italia ed i beni erano siti tra l’Italia e gli Stati Uniti; italiano il trustee ed i beneficiari del trust; dello Stato del Kentucky la legge regolatrice; italiana, invece, la legge regolatrice della successione. La breve descrizione mette in luce la ben evidente lesione di legittima in danno della figlia, con la conseguenza che era certamente esperibile l’azione di riduzione. Se non che, i legali della figlia pretermessa commettono l’errore di impugnare il testamento e, forse a causa di una traduzione superficiale della scheda testamentaria, di invocarne la nullità perché si tratterebbe, a loro detta, di una sostituzione fedecommissoria vietata dalla legge. Fortunatamente i giudici utilizzano per la propria decisione la scheda testamentaria nella lingua di origine e, correttamente, inquadrano la vicenda nell’ambito del diritto dei trust e applicano per la soluzione della stessa l’art. 15 della Convenzione dell’Aja (12). La norma, definita da autorevole dottrina norma di grande saggezza (13), ha lo scopo di impedire che un trust regolato da una legge straniera produca degli effetti incompatibili con le disposizioni inderogabili della legge individuata dalle norme di conflitto del foro. Così, nel nostro ordinamento, è fatta salva l’applicazione delle norme di diritto interno poste a presidiare i diritti dei legittimari (14). In questo precedente il giudice ha ritenuto che il trust, benché istituito nei termini sopra illustrati, non determinasse la nullità della scheda testamentaria, neppure per la parte che pregiudicava le aspettative della legittimaria, ma semplicemente che esso non fosse di ostacolo alla possibilità di applicare le disposizioni di diritto interno strumentali alla reintegrazione della quota riservata ai legittimari (15); così che, in virtù del comma 2 del suddetto art. 15 della Convenzione, gli effetti proibiti ma perseguiti con il trust sono rimossi qualora sia esercitato l’appropriato mezzo di tutela predisposto, mentre gli atri effetti sono rimasti senza alcun impedimento, cioè senza che ne sia stata compromessa la validità e l’ammissibilità. Dal lato pratico questo ha significato il rigetto della domanda della legittimaria che aveva sostenuto la nullità del testamento, e la precisazione che l’attrice avrebbe dovuto semplicemente agire in riduzione verso quelle disposizioni che, con l’effetto di porre i beni sotto il controllo del trustee, si erano dimostrate lesive della sua quota di legittima. Per completezza va detto che a questa tesi dell’esperibilità dell’azione di riduzione si contrappone la tesi della nullità del trust per contrarietà a norme imperative (16). L’effetto di questa teoria è l’applicazione ad un trust con queste le caratteristiche dell’art. 13 della Convenzione dell’Aja, norma che è definita di chiusura perché, a prescindere dalla violazione di specifiche norme inderogabili del nostro ordinamento, limita quelle fattispecie che sono confliggenti con il nostro ordine pubblico (17). Il presupposto di tale tesi è l’ostacolo che può trovare chi agisce in riduzione nella corretta individuazione del convenuto, così che l’azione di riduzione astrattamente proponibile diventa in realtà strumento inefficace. Questo perché per definizione il trustee non si arricchisce con l’istituzione del trust, così che l’azione dei legittimari pretermessi dovrebbe essere necessariamente diretta contro i beneficiari. Ma non è sempre scontato che i beneficiari siano individuati. Certo molto dipenderà dal trust e dalle sue caratteristiche perché non sempre l’atto istitutivo identifica, o fornisce, i criteri per individuare i soggetti con delle spettanze determinate sul fondo in trust al momento dell’apertura della successione (18). L’impossibilità in cui il legittimario leso si trova per la mancanza di un convenuto contro cui proporre l’azione di riduzione viene, quindi, interpretata come violazione di ordine pubblico e da questa interpretazione deriva l’applicazione dell’art. 13 della Convenzione. La dottrina, partendo dall’inciso che le norme inderogabili, benché presenti nel nostro ordinamento, non raggiungerebbero il risultato voluto dal legislatore, poiché l’azione di riduzione astrattamente proponibile si dimostrerebbe inefficace, verificando che quindi la legge straniera regolante il trust avrebbe l’effetto di paralizzare le norme sulla tutela dei legittimari, arriva, grazie a detta interpretazione dell’art. 13 della Convenzione, a negare il riconoscimento al trust. È così travolto il negozio dispositivo (19) e i beni confluiti nel fondo in trust sono riportati nel patrimonio del disponente defunto: si aprirà, quindi, la successione legittima nel pieno rispetto della nostra legislazione (20). In questa particolare fattispecie però il Tribunale glissa totalmente sul tema della corretta individuazione della controparte processuale. Anzi, in realtà, non è dato sapere dal testo della sentenza se la moglie, che qui è convenuta – anche se non espressamente – come trustee sia anche beneficiaria del trust. Probabilmente lo è, visto che il giudice non si è minimamente posto il problema della corretta instaurazione del contraddittorio (21). Per completezza va detto poi che una certa giurisprudenza, proprio rispetto ad un trust discrezionale, non ha tenuto presenti queste considerazioni appena enunciate, ed ha ritenuto che al legittimario non sia precluso agire in riduzione contro il trustee per il fatto che egli non sia in condizione di indicare, finché dura il trust, una effettiva e misurabile lesione della sua legittima (22).

Note:
(9) Sulla generale ammissibilità dei trust testamentari si veda M. Lupoi, Istituzioni del diritto dei trust negli ordinamenti di origine e in Italia, CEDAM, 2016, pag. 71; A. Paradiso, “Trust testamentario”, in Trust - aspetti sostanziali e applicazioni nel diritto di famiglia e delle persone, Vol. I, Torino, 2010, pag. 361 ss. (10) Per una visione di insieme sul tema si veda G.F. Condò, “Rapporto tra istituzione di un trust e normativa in materia di successione”, in questa Rivista, 2008, pag. 357. (11) Cfr. supra nota n. 1. La sentenza è stata confermata dalla Corte d’Appello di Firenze, in questa Rivista, 2002, pag. 244. In linea con questo orientamento sono Trib. Venezia, 4 gennaio 2005, in questa Rivista, 2005, pag. 245 e Trib. Torino, 27 dicembre 2011. (12) L’art. 15 della Convenzione dell’Aja dispone al comma 1 che “La Convenzione non costituisce ostacolo all’applicazione delle disposizioni della legge designata dalle norme sul conflitto di leggi quando per un atto volontario non possa derogare ad esse, in particolare nelle seguenti materie: a)protezione dei minori e degli incapaci; b) effetti personali e patrimoniali del matrimonio; c) testamenti e devoluzione ereditaria, in particolare la successione necessaria; d) trasferimento della proprietà e le garanzie reali; e) protezione dei creditori in caso di insolvenza; f) protezione dei terzi in buona fede”. Al secondo comma prevede che “Qualora le disposizioni del precedente paragrafo siano di ostacolo al riconoscimento del trust, il giudice cercherà di attuare gli scopi del trust in altro modo”. (13) In tal senso M. Lupoi, nota a Trib. Lucca, 23 settembre 1997, in Foro it., 1998, pag. 3394. (14) Sul punto si veda E. Moscati, Trust e tutela dei legittimari, Relazione al Congresso Nazionale dell’Associazione “Il trust in Italia”, 19-20 novembre 1999, in www.il-trust-in-italia.it; S. Patti, “Trust, quota di riserva e causa concreta”, in Famiglia, Persone e Successioni, 2011, pag. 526; A. Arceri, M. Bernardini, M. Bucchi, in Trust e altre tutele del patrimonio familiare, pag. 150 e seg. B. Ghittoni nella nota a Trib. Lucca, 23 settembre 1997, in Giur. it., 1999, pag. 69, richiama il rapporto della Commissione speciale in Conference de la haie de droit international privé, Actes et documents de la Quinzienne session, II, La Haie, 1985, pag. 191, n. 93, e ritiene che le limitazioni contenute nell’art. 15 della Convenzione dell’Aja siano una limitazione degli effetti dei trust a tutela di norme inderogabili che al momento della redazione della Convenzione fu considerata necessaria “per rassicurare i giuristi di civil law”. Per una qualificazione giurisprudenziale delle norme sui legittimari si veda Cass., 30 giugno 2014, n, 14811 e Cass., 24 giugno 1996, n. 5832. (15) L’azione di riduzione non era stata proposta dall’attrice che aveva concluso per la declaratoria di nullità del testamento, e in conseguenza del ragionamento del giudice è stata rigettata. (16) In tal senso si veda M. Lupoi, “Lettera a un notaio conoscitore dei trust”, inRiv. not., 2001, pag. 1159 ed in questa Rivista, 2002, pag. 169; Idem, Istituzioni del diritto dei trust negli ordinamenti di origine e in Italia, CEDAM, 2016, pag. 310. (17) L’art. 13 della Convenzione dell’Aja stabilisce che “nessuno Stato è tenuto a riconoscere un trust i cui elementi significativi, ad eccezione della legge applicabile, del luogo di amministrazione o della residenza abituale del trustee, siano collegati più strettamente alla legge di Stati che non riconoscono l’istituto del trust o la categoria del trust in questione”. In giurisprudenza si veda Trib. Bologna, 1° ottobre 2003, in questa Rivista, 2004, pag. 67; Trib. Brescia, 12 ottobre 2004, ivi, 2005, pag. 83; Trib. Firenze, 2 luglio 2005, ivi, 2006, pag. 89. (18) Si pensi al caso di un trust totalmente discrezionale con una categoria di beneficiari aperta la cui individuazione sia rimessa alla piena discrezionalità del trustee. In dottrina si è detto che “A fronte di beneficiari con posizioni quesite sul fondo che esauriscono quest’ultimo è chiaro che l’ottenimento di un qualunque bene da parte del legittimario comporta una riduzione delle loro spettanze.Afronte, invece, di beneficiari che sono tutti in posizione di attesa (trust totalmente discrezionale quanto al fondo), nessuno subisce alcun pregiudizio se non ipotetico e probabilmente privo di alcun rilievo giuridico perché non è prevedibile come il trustee o il diverso soggetto titolare del potere di designazione lo eserciterebbe, magari il giorno dopo o a distanza di molti anni dalla morte del disponente”. Così M. Lupoi, Atti istitutivi di trust, Milano, 2017, pag. 244. (19 “Il negozio istitutivo di trust non è di per se lesivo del diritto di alcuno perché è meramente programmatico; indicare un compito al trustee, a meno che si tratti di un compito eversivo dell’ordine giuridico, è privo di rilevanza per quanto riguarda le spettanze successorie fino a quando il disponente trasferisca i beni al trustee” per il tramite dei negozi dispositivi. Così M. Lupoi, Istituzioni del diritto dei trust negli ordinamenti di origine e in Italia, CEDAM, 2016, pag. 309. (20) Per una sintesi di entrambe le tesi si veda G. Mercanti, “Trust e legittimari”, intervento svolto in occasione del workshop tenutosi il 14 maggio 2015 presso il Consiglio Notarile di Brescia, in www.avvocatogabrielemercanti. it. Questa tesi è stata criticata da G. De Nova, “I trust, la collazione e la tutela dei legittimari”, Relazione al II Congresso nazionale dell’associazione “Il trust in Italia”, nel sito www.il-trust-in-italia.it, il quale ha posto l’accento “sull’insegnamento che la tutela del legittimario non coincide necessariamente con l’esperibilità di una azione esattamente conforme all’azione di riduzione contro una donazione lesiva. Ed allora è possibile pensare ad un’azione a tutela del legittimario che si adatti a quel particolare modo di gratificare un terzo che è il trust”. E prosegue interrogandosi sulla possibilità di “ipotizzare, aperta la successione ed accertata la - almeno potenziale - lesione della legittima, una azione di impugnazione dello stesso programma del trust lesivo della legittima, con legittimazione passiva del trustee”, oppure di “pensare, prima degli atti di disposizione a favore dei beneficiari, ad un’azione contro il trustee, volta a far recuperare i beni disposti a suo favore e già appartenenti al de cuius”. Si veda anche A.C. Di Landro, Trust e separazione patrimoniale nei rapporti familiari e personali, Napoli, ESI, 2010, pag. 258 ss. (21)L’individuazione del legittimato passivo dell’azione di riduzione quando è coinvolto un trust è un tema in cui si può dire vi siano due correnti di pensiero: da un lato si è sostenuto che legittimato passivo debba essere il beneficiario. Solo questo, infatti, è il destinatario finale del progetto ideato dal disponente, avendo il trustee il ruolo di mero attuatore. Dall’altro si è ritenuto che sino a quando i beneficiari non abbiano ricevuto quanto di spettanza, debba essere il trustee il contraddittore processuale. C’è chi per individuare il soggetto passivo dell’azione di riduzione si è ispirato alle norme fiscali ed alla attualità della titolarità del reddito ai fini della individuazione dei soggetti passivi delle imposte dirette. In tal senso A.C. Di Landro, Trust e separazione patrimoniale nei rapporti familiari e personali, Napoli, ESI, 2010, pag. 263. (22)In tal senso Trib. Udine, 17 agosto 2015, in questa Rivista, 2016, pag. 159.

Dopo aver decretato l’applicazione dell’art. 15 della Convenzione dell’Aja, i giudici concludono asserendo che le figlie del de cuius devono considerarsi eredi pretermesse essendo nel trust previsto per loro unicamente il versamento della somma complessiva di 1.000 dollari ciascuna, valore che neanche verosimilmente rappresenta quello che ad esse spetta. Così “le disposizioni del testamento e del trust devono, quindi, essere ricondotte alla disciplina italiana in tema di diritti riservati ai legittimari in caso di successione”. Applicando l’art. 542, comma 2, c.c. discende che alla moglie spetta una quota di legittima pari ad 1/4 del patrimonio relitto, mentre alle figlie spetta la complessiva quota di 1/2 e, quindi, di 1/4 ciascuna; la residua quota disponibile è pari ad ¼ del patrimonio e rimane destinata, secondo le disposizioni testamentarie, a beneficio della moglie qualificata dal giudice “erede testamentaria in qualità di trustee”. Dopo aver stabilito le quote di spettanza, i giudici procedono alla ricognizione della consistenza della massa ereditaria. In seguito all’istruttoria ed alla CTU disposta, risulta che i beni presenti sul territorio americano e confluiti nel trust abbiano un valore di 4.500.000 euro; i beni italiani, invece, hanno un valore complessivo di 788.135,10 euro, per un totale di 5.288.135,10 euro. Decurtate le spese funerarie sostenute dalla moglie, la massa ereditaria è quindi pari a 5.279.425,46 euro. Evidente guardando questi numeri la divergenza tra quanto il disponente ha destinato per il tramite del trust alle figlie e quanto queste, invece, hanno diritto di ricevere.

Lo stato dell’arte mostra che il trust, se non è utilizzo per fini meritevoli, può essere un mezzo utilizzato per ledere diritti di terzi, includendo in questa categoria i diritti dei legittimari. I contrasti interpretativi esposti potrebbero poi far trovare l’operatore giuridico davanti ad un dubbio amletico: in caso di trust che lede i diritti dei legittimari, chi sono le controparti processuali? E cioè: l’atto di citazione a tutela di questi diritti deve essere notificato al trustee o ai beneficiari? E se i beneficiari al momento dell’azione giudiziale ancora non sono individuati? E così ci si prospetta questa ambientazione: da un lato il disponente che ha (probabilmente consapevolmente) posto in essere un negozio programmatico che ha l’effetto di violare i diritti dei legittimari, dall’altro la lesione dei diritti dei legittimari che deriva dagli atti dispositivi ed infine il trustee che, in quanto possibile, deve dare attuazione alla volontà del disponente come manifestata nell’atto istitutivo. Ed è proprio sul trustee che si potrebbe puntare per ottenere una possibile soluzione stragiudiziale della controversia. Come sempre questa possibilità dipende dalla sussistenza di un potere a suo favore derivante, quindi, da un’apposita previsione inserita nell’atto istitutivo. Si è detto in dottrina che le doglianze di un legittimario possano derivare da tre ragioni: “ciò che il trust gli destina è lesivo della sua quota; ciò che il trust gli destina corrisponde alla sua quota, ma è postergato nel tempo; ciò che il trust gli destina è lesivo della sua quota ed è postergato nel tempo” (23). Ragioni, queste, che hanno portano la dottrina a concludere che i controinteressati siano gli altri legittimari, se esistono, egualmente beneficiari del trust ed a proporre ai redattori di atti istitutivi di trust l’utilizzo di una clausola che anche nell’ottica di una economia giuridica tenda alla conciliazione della controversia o, in caso di domanda giudiziale, tuteli gli interessi del legittimario pretermesso (24). Così qualora il legittimario comunichi al trustee che i propri diritti sarebbero lesi dalla “prosecuzione del trust” – perché è la prosecuzione che genera la perdurante inclusione dei beni nel fondo in trust e che lede i suoi diritti – si aprono in sequenza due scenari. In prima battuta il trustee potrebbe dover ricercare una conciliazione tra il legittimario che si dichiara pretermesso, gli altri legittimari, gli altri legittimari che siano beneficiari del trust o gli altri beneficiari in genere; qualora l’accordo sia raggiunto, il legittimario richiedente potrebbe ottenere i beni, ma dovrebbe rinunciare a qualsivoglia ulteriore pretesa nei confronti del trustee e dei soggetti partecipanti all’accordo. Tra l’altro si dovrebbe prevedere che, qualora l’erede pretermesso fosse incluso nella categoria dei beneficiari, egli dovrebbe uscire da detta categoria per non avere più né diritti né aspettative derivanti dal trust, conseguenza questa che si estenderebbe anche ai suoi eredi. Qualora non sia raggiunto l’accordo, ed il legittimario agisca in giudizio convenendo in esso il trustee o anche il trustee, secondo la clausola proposta, il trustee non dovrebbe assumere alcuna posizione sostanziale, ma limitarsi a rimettersi a giustizia, lasciando agli altri controinteressati la difesa sostanziale, posto che il trustee potrebbe anche non avere tutte le informazioni necessarie per contrastare le pretese del legittimario (ad es. in merito ad eventuali donazioni di cui ha beneficiato durante la vita del disponente). Soprattutto potrebbe essere imposto che il trustee, in pendenza della definizione del giudizio, non compia alcun atto che possa pregiudicare gli interessi del legittimario richiedente. Così scrivendo il trustee può porre in essere solo comportamenti conservativi del fondo in trust e non può, al contrario, porre in essere tutti quegli atti che, in base alla legge regolatrice od alle disposizioni dell’atto istitutivo del trust, potrebbero ledere i diritti del legittimario. L’inserimento opportuno di questa clausola all’interno degli atti istitutivi ha l’effetto di generare un corretto bilanciamento degli interessi dei soggetti coinvolti nelle vicende successorie del disponente, anche proprio in considerazione che il nostro ordinamento giuridico è immutato nel tempo e le norme sui legittimari concorrono a caratterizzare la struttura etico-sociale della nostra cultura in quanto, anche come rilevato dalla giurisprudenza, “alla coscienza collettiva ripugna che tutti i beni del de cuius siano attribuiti ad un estraneo senza che il coniuge, i figli e i discendenti ricevano alcunché” (25). Chissà se, sulla scia dei grandi cambiamenti che recentemente hanno interessato la famiglia ed il superamento della sua nozione classicamente intesa e che si sono riflessi pure nell’ambito delle successioni, si arriverà anche ad una modifica dell’impianto successorio (26). Solo il tempo saprà darci una risposta.

Note:
(23)Così M. Lupoi, Atti istitutivi di trust, Milano, 2017, pag. 244. (24)Così M. Lupoi, Atti istitutivi di trust, Milano, 2017, pag. 245. La clausola proposta è del seguente tenore: Pretese di un legittimario. A. Qualora, defunto il Disponente,un suo legittimario comunichi al trustee che i propri diritti sarebbero lesi dalla prosecuzione del trust e richieda il trasferimento di beni in trust nella misura necessaria per far venire meno tale lesione: 1.il trustee, ottenuto il consenso del legittimario richiedente e di tutti gli altri legittimari [che siano Beneficiari]/e dei Beneficiari, trasferisce al richiedente i beni in trust fra tutti convenuti, contestualmente alla sottoscrizione di un atto nel quale il richiedente dichiari di essere stato soddisfatto e rinunci a qualsiasi diversa o ulteriore pretesa verso il trustee e verso coloro che hanno prestato il proprio consenso; 2.altrimenti, qualora il legittimario introduca una domanda giudiziale, il trustee: a)si costituisce in giudizio; b)si rimette a giustizia; c)in pendenza della definizione del giudizio non compie alcun atto che possa pregiudicare gli interessi del legittimario richiedente. 3.In entrambi i casi, qualora il richiedente sia Beneficiario, egli, il suo coniuge e i suoi discendenti sono esclusi dalla categoria dei Beneficiari e da ogni vantaggio derivante loro da questo Strumento. (25) App. Milano, 4 dicembre 1992, in Foro it., 1994, I, pag. 590. (26) La Legge n. 76 del 20 maggio 2016 sulle unioni civili ha avuto l’effetto di equiparare ai fini della disciplina della successione legittima la parte dell’unione civile al coniuge, con la conseguenza che al partner omosessuale del de cuius spetterà l’intera eredità in mancanza di figli, fratelli, sorelle e ascendenti del defunto; i due terzi dell’eredità in presenza di ascendenti, fratelli o sorelle del defunto; metà dell’eredità in caso di concorso con un solo figlio o un suo terzo in caso di concorso con più figli del defunto.

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