Intervento del giudice italiano nella vita del trust

Saggio di commento pubblicato in Trust & Attività Fiduciarie, 2018, 267

I recenti provvedimenti emessi in materia di trust sono lo spunto per un confronto del ruolo del giudice nel nostro sistema di civil law rispetto a quelli di common law. L’ampliamento dello spazio di intervento del giudice nella vita del trust fanno sperare in un sempre maggiore adattamento del trust all’interno del nostro sistema giudiziario. Così che il giudice non è più solo colui che smonta impianti per tutelare interessi di terzi, ma è un ausilio per tutte le figure professionali e non che ruotano attorno alla istituzione di un trust.

I trustee che operano negli ordinamenti di origine sono abituati a frequentare le aule di giustizia: per loro la porta del giudice è sempre aperta e vi possono ricorrere in qualsiasi circostanza del loro ufficio[1]. Il ricorso del trustee al giudice è quindi un evento proprio ed ordinario della vita del trust: in esso non vi è necessariamente una patologia o una stasi dell’istituto, ma solamente la necessità che il trustee sia supportato dal sistema giudiziario nello svolgimento del compito affidatogli dal disponente. È quella che nella prassi è chiamata inherent jurisdiction: un insieme di poteri non determinati e non definiti, ma che consentono al giudice di intervenire sotto molteplici profili nella vita del trust[2]. Poteri in virtù dei quali i giudici di common law sono intervenuti per la revoca o la sostituzione del trustee, per modificare l’atto istitutivo di trust qualora in esso non siano state trasfuse le reali intenzioni del disponente[3], per dare direttive al trustee circa la condotta da tenere[4]. È la possibilità per i giudici della Corte per il trust e i rapporti fiduciari di San Marino, nell’ambito del loro potere giurisdizionale di controllo e supervisione di qualsiasi trust sia regolato dalla legge sanmarinese, di emettere i “provvedimenti del caso”[5]. L’atipicità consentita all’intervento della Corte è il punto di forza della norma: il giudice, come meglio ritiene, potrà intervenire nella vita del trust. Spostando l’analisi dal lato del trustee questa confidenza nel ricorrere al giudice, mutuata dagli ordinamenti di common law, si è tradotta nella possibilità che egli chieda: di essere autorizzato a compiere un “atto utile” che non rientri tra i suoi poteri, di ratificare un atto già compiuto o di ottenere precise direttive sul comportamento da tenere qualora si trovi in uno stato di incertezza in merito al compimento di un atto inerente il suo ufficio[6]. Queste modalità operative dei trust negli ordinamenti stranieri si traducono, in un linguaggio giuridico a noi familiare, nella possibilità per il trustee di ricorrere al giudice in sede di volontaria giurisdizione in qualsiasi circostanza del suo ufficio. La differenza con le disposizioni sostanziali delle leggi straniere consiste nell’avere queste insite in loro la possibilità di intervento del giudice. Il trascorrere del tempo e la produzione giurisprudenziale dimostrano come anche i giudici italiani si stiano aprendo verso la gestione dei trust, rendendo così maggiormente efficiente il funzionamento stesso dei trust interni. È stato anche sostenuto che, per adempiere pienamente alle obbligazioni che l’Italia ha assunto con la ratifica de la Convenzione de L’Aja, le fattispecie di volontaria giurisdizione siano ampliate per comprendere quelle che normalmente sono previste dagli ordinamenti di origine ed adottate dal giudice locale. In caso contrario, la Convenzione non sarebbe pienamente riconosciuta perché i soggetti del trust dovrebbero adire necessariamente i giudici degli ordinamenti di origine imbattendosi in difficoltà non solo economiche che potrebbero annullare gli obiettivi che la Convenzione si è posta.

Note:
(1) In tal senso si veda M. Lupoi, Istituzioni del diritto dei trust negli ordinamenti di origine e in Italia, CEDAM, 2016, pag. 337. (2) Per la definizione di inherent jurisdiction si veda M. Lupoi, Istituzioni, supra nota 1, pag. 126; M.A. Lupoi, “Primi temi del diritto processuale dei trust”, in questa Rivista, 2014, pag. 245; Id., “Profili processuali del trust”, in questa Rivista, 2009, pag. 16; G. Fanticini, “Relazione generale sullo sviluppo della giurisprudenza civile italiana (prima parte)”, in questa Rivista, 2015, pag. 455. In giurisprudenza si segnala Court of Appeal di Jersey, 18 febbraio 2004, Jacobus Broere v. Mourant & Co. (Trustees) Ltd, in questa Rivista, pag. 258, ove si afferma che la Corte ha una “inherent and fundamental jurisdiction to supervise and, if appropriate, to intervene in the administration of a trust”. (3) Così si veda Royal Court di Jersey, 16 dicembre 2004, The Peach and Dolphin Trust (1988), in questa Rivista, 2006, pag. 615, in cui il giudice ha disposto la rettifica di un atto istitutivo di trust in cui, a causa della scarsa preparazione professionale degli avvocati che lo hanno redatto, non erano riportate le reali intenzioni del disponente. (4) In tal senso si veda Royal Court of Jersey, Samedi Div., 12 aprile 2006, Re the H Trust X Trust Company Limited v RW, in questa Rivista, 2007, pag. 274, in cui il giudice ha ritenuto non opportuno l’intervento del trustee in un procedimento di separazione coniugale in essere tra due beneficiari di un trust di Jersey in quanto l’emanando provvedimento sarebbe stato direttamente riconosciuto nell’isola del canale e quindi avere effetti anche verso il trust. Nell’Isola di Man si veda: Re Nordea Trust Company, in questa Rivista, 2011, pag. 446 in cui il giudice ha autorizzato il trustee a non agire per ottenere giudizialmente la proprietà di un bene destinato al trust perché nel fondo, al momento dell’azione, non vi era sufficiente disponibilità finanziaria per sostenere le spese legali. (5) Art. 53 della Legge 1° marzo 2010, n. 42. Si noti che uguale potere è attribuito alla Corte nell’ambito dell’affidamento fiduciario: cfr. art. 16 della Legge 1° marzo 2010, n. 43. In dottrina si veda V. Pierfelici, “La Corte per il trust a San Marino”, in questa Rivista, 2016, pag. 5. (6) Per un’applicazione pratica si veda l’ordinanza n. 4 del 5 dicembre 2017 con cui la Corte ha autorizzato il trustee a transigere le liti intraprese dalla curatela fallimentare del disponente. Il trustee in questo caso non era in grado di portare a compimento la trattativa con la curatela perché non era titolare di poteri che gli consentivano di destinare il fondo in maniera diversa dal vantaggio dei beneficiari. La Corte, che ha raggiunto la sua decisione effettuando una valutazione prognostica circa l’esito della causa che il trustee con l’istanza chiedeva di essere autorizzato a transigere ha, tra l’altro, autorizzato il trustee a transigere alle “condizioni che meglio riterrà opportune”, raccomandandogli di collocare in sub-trust una somma per la protezione degli interessi della figlia minore del disponente affetta da grave e permanente disabilità. (7)In tal senso M. Lupoi, Istituzioni, supra nota 1, pag. 337.

Il giudice italiano è sempre stato attirato dalle attribuzioni del giudice straniero e, negli anni, le decisioni hanno mostrato l’evoluzione e l’apertura del nostro sistema giudiziario al diritto dei trust derivante anche dalla confidenza che esso ha maturato con l’istituto. Oramai ci siamo lasciati alle spalle le annose questioni sull’ammissibilità del trust interno e sono numerosi i casi in cui il giudice italiano è intervenuto per la gestione del trust. Si pensi al provvedimento emesso dal Tribunale di Firenze in seguito alla domanda giudiziale proposta dal trustee circa la condotta da tenere in un procedimento per revocatoria che lo vedeva coinvolto. Il trustee, richiamando l’art. 51 della legge di Jersey[8], si era rivolto al giudice per avere indicazioni sull’opportunità della sua costituzione in giudizio, poiché la sua difesa avrebbe ulteriormente ridotto il fondo in trust che già in precedenza aveva subito una compressione derivante da attività giudiziale[9]. Su questa scia la partecipazione del potere giudiziale, addirittura non riconosciuta all’inizio, è oggi maturata e si è estesa fino all’emissione di un provvedimento che avrebbe potuto emettere la Corte di Jersey. L’occasione si è presentata al Tribunale di Ancona, destinatario di un’istanza proposta da un trustee per ottenere l’autorizzazione a costituirsi in un giudizio volto ad ottenere la nullità di un testamento con il quale il de cuius disponeva la segregazione in trust dei suoi beni. Nell’atto istitutivo di trust erano inserite clausole che prevedevano la possibilità per il trustee di rivolgersi all’autorità giudiziaria per ottenere direttive o che facevano rientrare nei costi di gestione le spese delle procedure che avevano lo scopo di inficiare la validità o l’efficacia del testamento. Il giudice però non ha posto l’accento su queste disposizioni di carattere privato, ma ha richiamato la Convenzione de L’Aja, la clausola dell’atto istitutivo che eleggeva la legge di Jersey quale legge regolatrice del trust e l’art. 51 di detta legge ed ha autorizzato il trustee a costituirsi in giudizio ed a sostenere le conseguenti spese per mezzo del fondo in trust[10]. È il primo Beddoe Order emesso da un giudice italiano[11]. In diritto inglese è previsto che il trustee possa rivolgersi preventivamente al giudice per essere autorizzato ad agire o a difendersi in giudizio e soprattutto essere autorizzato (con un Beddoe Order) a prelevare dal fondo in trust le somme necessarie per la sua difesa in giudizio.

Note:
(8) L’art. 51 della Trusts (Jersey) Law 1984 prevede al suo comma 1 che “un trustee può ricorrere alla Corte per ottenere direttive relative alla modalità in cui il trustee potrebbe o dovrebbe agire con riguardo a qualsiasi questione interessante il trust e la Corte può emettere l’eventuale provvedimento che ritenga opportuno”. (9) Trib. Firenze, 17 novembre 2009, in questa Rivista, 2010, pag. 174. (10) In tal senso Trib. Ancona del 29 gennaio 2018, n. 414. (11) Per la nozione di Beddoe Order si veda M. Lupoi, Istituzioni, supra nota 1, pag. 117. Il provvedimento che il giudice emana - Beddoe Order - prende il nome dalla sentenza Re Beddoe. Downes v Cottam [1893] 1 Ch 547. Si noti come per regola prudenziale il trustee richiede questo provvedimento anche quando l’atto istitutivo di trust espressamente gli consente di prelevare somme dal fondo in trust per la sua difesa giudiziale. Questo impianto è stato seguito in molti stati del modello internazionale.

Questo provvedimento arriva dopo le ben note diatribe che negli anni hanno afflitto dottrina e giurisprudenza negli anni e si spera possa segnare un punto di svolta per la vita del trust all’interno delle nostre aule di giustizia e del nostro sistema di diritto. Da un lato una tesi (minoritaria), sostenuta anche da una certa giurisprudenza, che lega l’intervento del giudice nella vita del trust alla sfera del diritto pubblico: l’intervento dell’autorità è ammissibile se e nei limiti in cui è consentito dal diritto pubblico interno. Così che, se il diritto straniero richiamato richieda un tipo di intervento diverso da quello previsto dall’ordinamento interno, la possibilità al giudice italiano di intervenire è negata[12]. In quest’ottica il supporto che il giudice nostrano può dare al trust è praticamente nullo: qualora manchi una norma interna che giustifichi l’esercizio di poteri giurisdizionali non viene riconosciuta la possibilità di intervento del giudice. Su questa linea si collocano le ben note pronunce emesse dal Presidente del Tribunale di Crotone. Nel decreto del 29 settembre 2008 il Presidente, chiamato a nominare un nuovo guardiano in sostituzione di quello dimissionario, osserva che i rimedi apprestati dal legislatore per la tutela dei diritti appartengono al sistema delle norme imperative e come tali inderogabili; così che la mancanza di una norma interna legittimante l’intervento dell’organo giurisdizionale ha portato alla dichiarazione di inammissibilità della domanda giudiziale[13]. La sussistenza all’interno dell’atto istitutivo di trust di una clausola che attribuiva il potere di nomina del guardiano all’organo giudiziario non è stata ritenuta legittimante per l’emissione di un provvedimento in tal senso. Anzi, “si arriverebbe all’assurdo di riconoscere ad un atto privato il valore di fonte normativa del potere giurisdizionale”. Si aggiunga che la clausola prevedeva, tra l’altro, che il Presidente avrebbe dovuto scegliere tra due nominativi indicati dal disponente, limitando così l’assoluta discrezionalità del giudice che non avrebbe potuto esercitare la sua funzione di terzo estraneo garante della legalità in piena autonomia e libertà[14]. Nel decreto il Presidente aveva comunque lasciato una porta aperta al suo possibile intervento scrivendo che il ricorrente non aveva fornito elementi per valutare se un’analoga istanza sarebbe stata proponibile al giudice inglese. Purtroppo, in questo caso, nonostante le modifiche apportate al trust e nonostante un nuovo ricorso con le medesime finalità sia stata proposto dalle beneficiarie minorenni per ottenere, contestualmente, la nomina di un curatore speciale e l’autorizzazione di questo a presentare istanza giudiziale per la designazione del guardiano, si è giunti al medesimo epilogo. Nell’ordinanza del 26 maggio 2009 si leggono non solo le medesime motivazioni circa la tipicità dei provvedimenti di volontaria giurisdizione, ma anche che la legge regolatrice del trust – diritto inglese – non prevede la possibilità che sia il giudice a nominare il guardiano[15]. Come accennato abbiamo assistito ad una maturazione del pensiero giudiziario e, nonostante le fonti legislative straniere che attribuiscono al giudice la possibilità di nomina del guardiano siano quasi inesistenti[16], il Presidente del Tribunale di Bologna ha emesso un provvedimento in tal senso, nominando il guardiano di un trust istituito a beneficio di un minore per la trasmissione a quest’ultimo di una collezione di oggetti napoleonici[17]. Tra l’altro anche questo atto istitutivo prevedeva una clausola che demandava al Presidente del Tribunale la nomina del guardiano da scegliersi tra i disponenti o tra persone vicine alla famiglia dei disponenti. In questo caso il Presidente ha ritenuto di coinvolgere il trustee nella fase preliminare alla sua decisione invitandolo a “formulare una lista di tre persone, con relative referenze, vicine alla ‘famiglia’, indicando eventuali rapporti di parentela o stretta solidarietà, tra le quali individuare il nuovo guardiano”. Si noti che, nonostante la mancanza di una fonte legislativa negli ordinamenti stranieri, grazie alla inherent jurisdiction alcuni guardiani sono stati revocati giudizialmente ed è stato chiarito che i presupposti della revoca giudiziale del guardiano sono gli stessi richiesti per la revoca giudiziale del trustee[18]. Questa recente pronuncia è in linea con quella parte di giurisprudenza e di dottrina che, invece, ammette l’intervento del giudice italiano nella vita del trust. Piuttosto, il quesito che ci si è posti, è se il giudice italiano da un lato intervenga applicando le norme processuali del foro per quanto riguarda il rito e dall’altro la legge straniera che regola nel merito della domanda. Questa combinazione tra lex fori e lex causae ha il pregio di non ledere il principio del numerus clausus dei provvedimenti di volontaria giurisdizione e di non scontrarsi con il principio di contrarietà all’ordine pubblico, che potrà rilevare qualora l’applicazione della legge straniera sia incompatibile con i principi fondamentali del nostro ordinamento[19]. In tal senso si è espresso il Tribunale di Genova. Il Presidente, con un decreto, ha provveduto alla nomina di un nuovo trustee in sostituzione del precedente dimissionario, specificando che questo potere attribuitogli dall’atto istitutivo è conforme alla legge che regola il trust – nello specifico all’art. 51 della Trusts Jersey Law – e non contrasta con alcuna norma imperativa o principio di ordine pubblico dell’ordinamento giuridico italiano[20].

Note:
(12) In tal senso Trib. Reggio Emilia, 27 agosto 2011, in questa Rivista, 2012, pag. 61. (13) Trib. Crotone, 29 settembre 2008, in questa Rivista, 2009, pag. 37. (14) La dottrina ritiene che le clausole che pretendono di condizionare il giudice a scegliere all’interno di una lista di nomi redatta dal disponente siano un ostacolo all’esercizio del potere giurisdizionale, qualora esso volesse e potesse essere utilizzato. In tal senso si veda M. Lupoi, Istituzioni, supra nota 1, pag. 339; D. Muritano - S. Bartoli, “Trust interno e nomina del guardiano da parte del giudice”, in Riv. not., 2009, pag. 484. (15) Trib. Crotone, 26 maggio 2009, in questa Rivista, 2009, pag. 650. Per una analisi completa della fattispecie si veda M. Lupoi, “Viaggio nella prassi professionale fra virtuosismi, errori, fatti e misfatti”, in questa Rivista, 2009, pag. 133; Id., “Trust per la gestione indipendente di un gruppo societario: variazioni”, in questa Rivista, 2009, pag. 576. Per l’atto istitutivo originario e conseguente alle modifiche apportate: “Trust per la gestione indipendente di un gruppo societario I e II”, in questa Rivista, 2009, pag. 221. (16) Negli ordinamenti di origine questo non significa che il giudice non intervenga con la nomina o la revoca del guardiano. La sua qualificazione come soggetto titolare di poteri fiduciari consente al giudice di emettere provvedimenti che lo revochino o lo sospendano dall’esercizio delle sue funzioni anche temporaneamente. A titolo esemplificativo si vedano in Jersey: Re M Settlement [2009] JRC 140; In the matter of the A trust, in questa Rivista, 2014, pag. 92. (17) In tal senso Trib. Bologna, 7 giugno 2017, in questa Rivista, 2018, … con nota di A. Montanari. (18) M. Lupoi, Istituzioni, supra nota 1, pagg. 161-162. In giurisprudenza si veda In the Matter of the Freiburg Trust [2004] JLR N 13; DG, AN and TTL limited v WM [2009] JRC 140 (Jersey); In the Matter of the A Trust [2012] JRC 169 (Jersey). Come evidenziato da autorevole dottrina questi precedenti sono stati approvati in Inghilterra Bridge Trustees Limited v Noel Penny (Turbines) Limited [2008] Pens LR 345. (19) Così M.A. Lupoi, Primi temi, supra nota 2, pag. 252. (20) Trib. Genova, 29 marzo 2010, in questa Rivista, 2010, pag. 408.

È ampio il panorama giurisprudenziale di nomine e revoche richieste ai giudici che non hanno avuto dubbi circa la possibilità di pronunciarsi in tal senso, sia rispetto ai trust interni, sia rispetto a quelli stranieri. Il Tribunale di Milano si è trovato a dover giudicare in merito al comportamento degli ex coniugi che ricoprivano l’ufficio di trustee di un trust regolato dal diritto inglese ed istituito nell’ambito del procedimento della loro separazione, su indicazione del giudice inglese e a beneficio delle figlie minori. In questo caso l’ex marito chiedeva la revoca della ex moglie dalle funzioni di trustee per conflitto di interessi con le beneficiarie del trust; la ex moglie convenuta, invece, chiedeva al giudice la rimozione dell’ex marito dalle funzioni di trustee per breach of trust per non aver egli partecipato alla gestione del trust. L’analisi della condotta dei trustee aveva evidenziato come entrambi non avevano agito in maniera onesta e ragionevole, non si erano adoperati per mantenere inalterati il valore dei beni inclusi nel fondo in trust, non avevano tenuto una adeguata contabilità incorrendo quindi in sanzioni fiscali e, soprattutto, non erano stati imparziali nello svolgimento del compito loro affidato perché non avevano tenuto in debito conto i diritti di tutti i beneficiari del trust[21]. Il Tribunale, a fronte del pregiudizio subito dalle posizioni delle beneficiarie minori in conseguenza della condotta dei trustee ed in applicazione dell’art. 41 del Trustee Act 1925, ha rimosso entrambi i coniugi dall’ufficio ricoperto esercitando quel potere integrativo che compete al giudice nell’ordinamento inglese (inhereht jurisdiction). Inoltre, il giudice ha nominato i nuovi trustee e gli ha imposto di agire congiuntamente per raggiungere lo scopo del trust nell’interesse delle beneficiarie “così esercitando tutti i poteri desumibili dal negozio costitutivo nonché dai principi normativi e di common law che disciplinano la materia”. Decisione questa che è stata confermata con la medesima motivazione dalla Corte d’Appello e dalla Corte di cassazione[22]. Sempre alla revoca del trustee, ma per ragioni di opportunità, arriva più recentemente il Tribunale di Milano[23]. Questo caso, che conferma l’ampliamento dello spazio giurisdizionale in cui opera il giudice italiano, ha portato alla revoca dei trustee per opportunità (qui largamente intesa) sussistendo una situazione di rischio meramente potenziale per i beni inclusi nel fondo in trust. Alla rimozione derivante da oggettive e documentate ragioni di sospetto o sfiducia tra le parti, anche in assenza di una cattiva gestione o amministrazione del bene segregato è seguita, poi, la nomina dei successori nell’ufficio. Ugualmente alla revoca giudiziale di un trustee si è arrivati in seguito ad una azione intentata da un creditore del disponente indicato come beneficiario dall’atto istitutivo. Il trustee era stato inadempiente ai propri obblighi di rendicontazione e la gravità di tale inadempienza derivava dalla coincidenza delle figure di disponente, trustee e beneficiario ultimo nella persona del socio unico e liquidatore della suddetta società.L’assenza della figura del guardiano e l’affidamento della tutela dei beneficiari solo ai rendiconti che dovevano essere predisposti dal trustee hanno portato alla revoca[24]. Con un diverso scopo, ma con un profilo di indagine simile, dal giudice tutelare di Firenze è stato emesso un provvedimento di autorizzazione a favore del tutore del beneficiario interdetto a prestare il consenso alla modifica delle clausole dell’atto istitutivo di trust. La richiesta era supportata dalla necessità di una migliore e maggiore tutela del detto beneficiario[25]. In questo caso il trust è regolato dal diritto inglese ed il giudice italiano si confronta con il Variation of Trusts Act 1958 il quale dispone la possibilità per i beneficiari di un trust di modificare il contenuto dell’atto nel modo che essi ritengono più idoneo e che qualora il beneficiario sia incapace di agire, la sua adesione all’accordo modificativo sia autorizzata dal giudice. Il giudice tutelare si limita ad emettere un provvedimenti di autorizzazione, ma nel corpo del ricorso i legali del minore hanno giustamente evidenziato come il giudice possa autorizzare la modifica dell’atto applicando il diritto inglese in virtù della Convenzione de L’Aja, che all’art. 8, lett. h), prevede che sia la legge regolatrice del trust a disciplinare la modifica e la cessazione del trust medesimo[26]. Trib. Milano, 20 ottobre 2002, in questa Rivista, 2003, pag. 265, con commento di M. Corabi, “Un caso di revoca e sostituzione giudiziale dei trustee”, in questa Rivista, 2004, pag. 31. App. Milano, 20 luglio 2004, in questa Rivista, 2005, pag. 87 e Cass. 13 giugno 2008, n. 16022, in questa Rivista, 2008, pag. 522. Trib. Milano, 18 febbraio 2014, in questa Rivista, 2016, pag. 173. Trib. Milano, 15 luglio 2015, n. 8738, in questa Rivista, 2015, pag. 580, che conferma la decisione del Trib. Milano, 22 gennaio 2013, in questa Rivista, 2013, pag. 537. Trib. Firenze 7 luglio 2004, in questa Rivista, 2005, pag. 85. La decisione è commentata da G. La Torre – A. Fusi, “Applicazione della legge straniera per la modifica delle clausole di un trust interno a favore di un interdetto”, in questa Rivista, 2005, pag. 58. Sono richiamate anche le norme degli artt. 424, comma 1, e 314, n. 3, c.c. per i quali il giudice tutelare è competente ad autorizzare l’accettazione di donazione in favore di interdetti in virtù della natura di liberalità riconosciuta al trust.  

Note:
(21) Trib. Milano, 20 ottobre 2002, in questa Rivista, 2003, pag. 265, con commento di M. Corabi, “Un caso di revoca e sostituzione giudiziale dei trustee”, in questa Rivista, 2004, pag. 31. (22) App. Milano, 20 luglio 2004, in questa Rivista, 2005, pag. 87 e Cass. 13 giugno 2008, n. 16022, in questa Rivista, 2008, pag. 522. (23) Trib. Milano, 18 febbraio 2014, in questa Rivista, 2016, pag. 173. (24) Trib. Milano, 15 luglio 2015, n. 8738, in questa Rivista, 2015, pag. 580, che conferma la decisione del Trib. Milano, 22 gennaio 2013, in questa Rivista, 2013, pag. 537. (25) Trib. Firenze 7 luglio 2004, in questa Rivista, 2005, pag. 85. La decisione è commentata da G. La Torre - A. Fusi, “Applicazione della legge straniera per la modifica delle clausole di un trust interno a favore di un interdetto”, in questa Rivista, 2005, pag. 58. (26) Sono richiamate anche le norme degli artt. 424, comma 1, e 314, n. 3, c.c. per i quali il giudice tutelare è competente ad autorizzare l’accettazione di donazione in favore di interdetti in virtù della natura di liberalità riconosciuta al trust.

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